Guča, è qui “Il tempo dei gitani”. Nella Serbia centrale a ritmo (scatenato) di tromba

Nella Serbia centrale, un paesino di 2000 anime che ogni anno si trasforma nel centro internazionale della musica etnica col suo festival di trombe. Per le strade gipsy band, fiumi di birra, carne alla brace. Una pazzia collettiva dai ritmi travolgenti che sa tanto del cinema di Kustirica…

È dal 1961 che esiste. Ma da noi non se ne sa nulla, o quasi. Ai tempi di Tito, evidentemente, c’era la  cortina di ferro a tener nascosta la sua fama.  Dopo, l’orrore della guerra dei Balcani, o peggio quella del Kosovo, hanno innalzato una cortina ancora più impenetrabile. A tutt’oggi l’unico immaginario dell’ex Jugoslavia vivo in Occidente.

Eppure il festival di trombe di Guča (si pronuncia Gucia) non si è mai fermato. Neanche nei momenti più bui del governo Milošević, attraversando la Storia, a ritmo scatenato: musica del periodo austro-ungarico,  turco-ottomano, comprese le marce militari e ogni genere del folklore slavo. Ma tutto rigorosomante suonato dagli ottoni: trombe, trombette, tromboni, contrabassi, bassotuba, grancassa provenienti da tutto il mondo.

Assopita all’interno della valle della Morava Occidentale, poco distante dall’area montuosa di Zlatibor e dal Parco Nazionale di Tara, Guča è una piccola cittadina di non più di 2000 anime, a Sud di Belgrado (160 km), capitale della Serbia. Da non confondere con la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, ennesima tessera di quel puzzle impazzito di nazionalismi che ha sostituito la Jugoslavia.

Immersa nella natura e nell’agricoltura (era questo il granaio di Tito) la piccola città si risveglia ogni anno durante il mese di agosto, aprendosi al mondo col suo festival, diventato a partire dagli anni Ottanta, un evento internazionale. Anzi, a detta dei suoi sostenitori, il terzo festival di folkore più importante del mondo dopo il carnevale di Rio e l’Oktober Fest di Monaco.

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Passeggiare per le strade di Guča, in quei giorni, è come muoversi sul set spontaneo di un film di Kusturica, che pure è ospite abituale del festival. È qui il tempo dei gitani. Omoni enormi o magrolini, giovani, ragazzini, vecchi: le gipsy band di trombettisti suonano senza sosta nei bar, nei ristoranti, agli angoli, per le vie. Basta un gesto per chiamarli e ritrovarsi circondati dalla loro musica. A quel punto è tradizione salire sul tavolo e mettersi a ballare, offrendo loro qualche banconata da appiccicare alle fronti sudate o da infilare nelle trombe. Mentre i passanti, ragazzi, turisti, musicisti, a loro volta, non esitano ad unirsi alle danze, creando continui capannelli festanti, complici i fiumi di birra e di Rakija, l’ottima grappa fatta di prugne blu. E così dalla mattina alla sera, dall’alba a quella del giorno dopo. Ininterrottamente.

A tratti palchi grandi e piccoli ospitano gare di trombettisti provenienti da tutto il mondo. Fino al gigantesco palco dello stadio, dove non c’è anno in cui non passi Goran Bregovic. E vedere il suo pubblico, migliaia e migliaia di giovani, che cantano e ballano scanetani i suoi brani, è lo spettacolo nello spettacolo. Quando, poi, intona Djurdjev dan, il Giorgio di San Giorgio, festività ortodossa  serba e rom e potente colonna sonora de Il tempo dei gitani del serbo Emir Kusturica, lo stadio sembra venire giù dall’emozione. Tutti insieme immersi in quella straziante melodia, composta dai prigionieri serbi deportati a migliaia, nel ’42, da Sarajevo al lager di Jasenovac, in Croazia, dalle truppe ùstascia, collaborazioniste del nazifascismo.

La storia si intreccia alla musica. E Djurdjev dan diventa la colonna sonora del festival di Guča, arrangiata dalla mattina alla sera con ogni ritmo, come una sorta di brusio di sottofondo che si ascolta per chilometri e chilometri.

Per le strade, ancora, bancarelle di carne alla brace di ogni tipo, dolci, souvenir, e soprattutto, cappelli militari dei cetnici, le truppe serbe monarchiche che durante la seconda guerra mondiale combatterono contro i partigiani di Tito e poi al fianco dei nazifascisti. Anche loro.

I ritratti dei comandanti cetnici, banditi in era comunista, troneggiano ora, di nuovo eroi,  sulle t-shirt in vendita, accanto ai volti di Milošević e Putin. Sono loro i Che Guevara da queste parti, soprattutto dopo i bombardamenti della Nato del ’99: quasi 80 giorni di raid aerei su “obiettivi militari” e civili, i cui segni sono ancora evidenti nei palazzi sventrati di Belgrado.

È la polveriera balcanica, pronta a riprendere fuoco da un momento all’altro. Eppure in questi giorni di festa, nonostante la confusione di simboli nazionalisti, tutto sembra sospeso, lontano o, almeno accantonato dalla musica. Migliaia e migliaia di ragazzi scorrono per le strade come un fiume in piena, senza alcun scoppio di violenza, a ritmo di musica. E pure quando qualche gruppetto di nerboruti giovanotti ubriachi si accostano alle belle ragazze danzanti per la strada, basta un’occhiataccia di una di loro per rimetterli in riga e farli indietreggiare con la coda fra le gambe. Questo da noi non si è mai visto.


Gabriella Gallozzi

Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.