Jean Vigo, Patti Smith, Enrico Ghezzi, una storia d’amore. Con “L’Atalante”

In occasione dei trent’anni di “Fuoriorario” e dell’incontro con Enrico Ghezzi (stasera 3 aprile al Maxxi di Roma, ore 21) riproponiamo il suo racconto su genesi e fatalità della storica sigla del programma di Raitre, pubblicata all’uscita in sala, nel 2018, de “L’Atalante” di Jean Vigo, nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna. Una sequenza, quella del tuffo nel fiume, sulle note di Because the night di Patti Smith che “è l’essenza stessa del cinema”. Una “sovrapposizione amorosa”, una grande storia d’amore, come quella per il cinema che guida da trent’anni la trasmissione di Raitre, purtroppo in questi tempi grami, sempre a rischio chiusura…

 

“Sono due immagini che fanno l’amore, che si compenetrano. Praticamente l’essenza stessa del cinema”. Sono passati trent’anni da quando Enrico Ghezzi di quel tuffo nel fiume, sulle note di Because the Night cantate da Patti Smith, ha fatto un’icona indelebile dell’immaginario di più di una generazione.

Trent’anni da quella prima puntata di Fuoriorario che della Raitre guidata da Angelo Guglielmi fu un programma culto (era il 1988), e ci ha regalato lunghe nottate di puro cinema. Quaranta invece da quando Bruce Springsteen ha musicato quel brano per la sacerdotessa del rock (era il 1978). E ancora, ottantaquattro dall’uscita di quel film che il suo stesso autore, Jean Vigo, non fece in tempo a vedere, stroncato appena ventinovenne dalla tubercolosi e da una vita di lutti, difficoltà, censure.

Stiamo parlando, o meglio, Enrico Ghezzi ci sta raccontando di quella grande storia d’amore che avvolge ancora oggi L’Atalante, titolo da antologia che la Cineteca di Bologna riporta in sala dal 15 gennaio nella versione restaurata (dai suoi laboratori) insieme all’intera opera del regista francese: A proposito di Nizza, (1930), Taris o del nuoto (1931) e Zero in condotta (1933).

“Mi sembrava quasi di sprecarla”. Ghezzi ricorda quando decise di affidare alla sigla di Fuoriorario quella sequenza d’incanto, col capitano (Jean Dasté) che “ritrova” il sorriso della sua amata (Dita Parlo) nelle acque del fiume, solcate dalla sua chiatta abitata da gatti (quelli del marinaio Père Jules) ed illusioni.

“In quella sovraimpressione amorosa c’è tutto il cinema”, dice il critico cinematografico e dirigente Rai. “Il puro amore per il cinema, con il suo potere di farti perdere, portarti in un altro spazio”. Così è stato anche per la “sovrapposizione” con “la più bella canzone d’amore degli ultimi quarant’anni”, quella Because the Night che per puro intuito Ghezzi scelse di sposare alla sequenza. “Ho sempre sostenuto che la musica possa andare con qualunque immagine. E nello scegliere quel brano, confesso di essere stato incerto fino all’ultimo. Ma poi una volta montato…”. L’abbinamento è risultato fatale.

Fatale, del resto, è stato il suo incontro con L’Atalante. Una folgorazione – continua a raccontarci – vissuta neanche quindicenne, in un cineclub della sua città d’adozione, Genova, dove è cresciuto, ha studiato ed ha vinto il concorso in Rai come programmista-regista, approdando in seguito a Raitre come “autore diffuso” nella direzione del palinsesto cinema. Dalla cui costola è nata l’altra sua storica creatura: Blob.

“Di fronte a L’Atalante – Ghezzi rievoca la sua giovinezza – ho provato la sensazione di essere arrivato davanti al culmine di cosa è cinema. Mi è parso che tutto il mondo fosse rovesciato e le persone tenessero i piedi per aria e camminassero sulle mani, proprio come Jean Dasté in Zero in condotta“.

Altro capolavoro maledetto di Jean Vigo, bloccato dalla censura fino al ’45; il genio anarchico, irriverente, poetico e trasgressivo del regista emerge con tutta la sua forza nel racconto dei piccoli orfani ribelli costretti nelle mura del collegio. C’erano, mescolate, memorie d’infanzia personali, drammatiche; Vigo, figlio di un celebre intellettuale anarchico – Eugène Bonaventure de Vigo detto Miguel Almereyda – morto suicida in carcere, ha vissuto la sua infanzia internato in un istituto, dopo essere stato allontanato dalla madre.

Il suo “cinema come mondo”, però, nonostante tutta la vitalità, la forza sovversiva, la carica innovativa e sperimentale, resterà a lungo isolato. Lo stesso Atalante – è ancora Ghezzi a condurre il racconto – venne portato nelle sale in una versione diversa da quella montata da Vigo: accorciata e privata della musica di Maurice Jaubert. Al suo posto il brano Parlami d’amore Mariù, che nella versione francese, Le Chaland qui passe, darà il titolo al film uscito nei cinema nel settembre del ’34, poco prima della morte dello stesso autore.

Certo, a togliere dall’isolamento il regista francese, come tanti altri grandi outsider, Fuoriorario ha dato un contribuito indelebile. Ghezzi è sommerso da attestati di riconoscenza di quanti il cinema, soprattutto quello d’autore, l’hanno scoperto sugli schermi notturni di Raitre.

“Siamo stati la prima tv al mondo a mandare film integrali della durata di sette ore, come Hitler – Un film dalla Germania di Hans Jurgen Syberberg”, prosegue con orgoglio, parlando ancora di ipermontaggio e dilatazione di spazi, di cinema kazako e di John Ford, dei videoclip anni Ottanta, della grammatica del muto e di quella volta sublime – ormai entrata nelle leggende cinefile – in cui un film di Imamura, senza sottotitoli, fece il picco d’ascolti.

Trent’anni dopo, in questi tempi grami, Fuoriorario è purtroppo a perenne rischio di chiusura. “Ottenere gli acquisti dei film è sempre più difficile”, conclude Ghezzi. Ma per ora la storia d’amore continua.


Gabriella Gallozzi

Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.