RaiStoria: “Gente di Sarajevo”, la resistenza alla Jihad in Europa

Venerdì 4, sul canale 54 (ore 22) il doc di Giancarlo Bocchi sull’assedio più lungo e cruento della nostra storia, da cui ha tratto anche un libro. Un racconto di vite quotidiane sotto le bombe, “eroi comuni” durante la guerra dei Balcani che è ha fatto da scintilla a nuovi integralismi…

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“Durante l’assedio anche i libri divennero obiettivo militare, come le caserme, le postazioni militari e i centri logistici. Il nemico voleva annientare l’anima stessa della città, una cultura che da centinaia di anni amalgamava pensieri, parole, costumi di genti diverse annullando sospetti, timori e pregiudizi”.

A vent’anni da quell’assedio che trasformò Sarajevo, dall’aprile ’92 al febbraio ’96, “nel più grande campo di concentramento a cielo aperto”, cosa è rimasto di quella cultura, dell’anima stessa di quella città da sempre simbolo di tolleranza e multiculturalismo?

Di fronte alla Siria in fiamme, agli attentati di Parigi e alle scorribande dell’Isis garantite dalle complicità di molti (leggi la Turchia e la questione Curda e non solo), rileggere quella storia, svela nuovi consapevolezze, celate per anni da una colpevole e sommaria lettura mediatica che mai, come nella “sporca guerra dei Balcani”, ha espresso tutto il suo potere mistificatorio.  cop-14.aspx

A farlo è Giancarlo Bocchi, regista tra i più autarchici e “combattenti” che a Sarajevo e in prima linea ha trascorso molti mesi, raccontandone orrori e “segreti” nei suoi film. Dopo Mille giorni di Sarajevo, Sarajevo Terzo Millennio, Morte di un pacifista, Il Ponte di Sarajevo, passando per il film di finzione Nema problema, Bocchi ha aggiunto ora un ultimo tassello alla sua “indagine” con L’assedio. Gente di Sarajevo, un libro più dvd (edizioni ImpLibri, 20 euro) dedicati alla “resistenza umana” degli abitanti della città assediata. Gente comune che ha conosciuto personalmente e alla quale “affida” la memoria e la ricostruzione “critica” di quei quattro anni di orrore. Sotto il fuoco dei cecchini e dei mortai serbo-bosniaci di Karadzic, ma anche del piombo delle bande criminali che hanno tiranneggiato la città, senza acqua né luce, né viveri o medicinali, raccontando cioè di un conflitto che non è stato solo “etnico o religioso, ma di interessi economici e tribali”.

Sedici capitoli con altrettanti ritratti di donne, uomini, bambini che dicono di “una cultura che da centinaia di anni amalgamava pensieri, parole, costumi di genti diverse”, appunto. Chi croato, chi ebreo, chi musulmano, rom, serbo. Come Greta, ebrea sopravvissuta ad Auschwitz, che tante volte aveva sentito ripetere “mai più” e invece “a Sarajevo era accaduto di nuovo, per quattro interminabili anni”. O l’anziana Muniba dalla vita lunga un secolo che, malgrado un padre giudice islamico, è cresciuta atea e comunista (“come l’80% dei musulmani di Bosnia”, sottolinea Bocchi) riconoscendosi più che mai nella Jugoslavia di Tito. E ancora Edo, bimbo col sogno del calcio che si improvvisa guardiano della storica biblioteca rasa al suolo dai mortai. E Serif, l’uomo dell’acqua, che sfida le bombe per aiutare la città a secco. E quel rom compagno di scuola di Emir Kusturica, sì il celebre regista, qui per tutti “Kusta”, andato via prima della guerra e cresciuto nel quartiere “zingaro”, “dimenticato da Dio e dagli uomini” pure durante l’assedio. E Suada musulmana e Sime croato che si sono sposati sotto i bombardamenti perché “i bosniaci vivevano insieme da secoli e a Sarajevo volevano continuare a farlo… Non era colpa loro se i serbo bosniaci sparavano sulla città. E poi, quando sparavano, non sapevano mica se sparassero su un musulmano, un serbo o un croato”.

Ecco, perché il punto è tutto qui, ci dice Giancarlo Bocchi: “I media, mistificando, hanno raccontato l’assedio di Sarajevo come la strage dei musulmani, mentre a morire sono stati tutti: serbi, croati, ebrei, rom”. In questo senso, prosegue il regista, “a Sarajevo si è accesa la scintilla del jihadismo contro l’Occidente che, rimanendo immobile di fronte a tale barbarie, ha autorizzato i musulmani di tutto il mondo a credere nello sterminio degli islamici. Prima, con l’Afghanistan e la Cecenia, il nemico degli islamisti era il comunismo, ma dopo la guerra di Bosnia tutto è cambiato”. E ricordarlo, oggi, al di là degli anniversari (vent’anni dagli accordi di Dayton) è più che mai necessario.