Addio Belmondo, magnifica canaglia del cinema francese
È scomparso il 6 agosto a Parigi Jean-Paul Belmondo. Guascone del cinema francese e icona della Nouvelle Vague aveva 88 anni. Un mattatore pronto a tutto per catturare il pubblico. Con “Fino all’ultimo respiro” – che non voleva fare – ha segnato la storia del cinema. Godard, Resnais, De Sica, Melville: ha lavorato con tutti i più grandi. Una sola volta per Truffaut in “La mia droga si chiama Julie” dal romanzo dello statunitense William Irish …
È stato l’attore francese più popolare del dopoguerra, il più lodato, il più pagato, il più amato dal pubblico e insieme il beniamino della Nouvelle Vague. Era l’ex-pugile dilettante che girava le scene più pericolose senza controfigura in campioni d’incasso come L’uomo di Rio di Philippe de Broca, e il giovane gangster esistenzialista che avrebbe reso immortale Fino all’ultimo respiro, il debutto destinato a fare epoca di Jean-Luc Godard (a ottobre in sala restaurato grazie alla Cineteca di Bologna).
Sportivo, guascone, beffardo, ribelle, accettava tutte le sfide e incarnava tutte le contraddizioni. Un uomo di estrema destra – come lui stesso ammetteva, talvolta pentendosene – catapultato in un cinema anarchico, provocatorio, anzi rivoluzionario come quello tenuto a battesimo dai giovani turchi dei Cahiers du Cinéma. Un mattatore pronto a tutto per catturare il pubblico, che i massimi talenti della sua generazione tentarono a loro volta di catturare, riuscendoci poche volte e mai per molto.
Godard, che fu il primo a capirlo (prima del debutto lo aveva già voluto in un corto, Charlotte et son Jules), sarebbe stato anche il primo a perderlo, perché non si potevano mettere le briglie a Belmondo.
Lo stesso attore, anni dopo, avrebbe ammesso di essersi buttato nei personaggi più diversi per sfuggire al delinquente con le calze di seta di Fino all’ultimo respiro, film che sulle prime non voleva fare. Ma sarà sempre Godard, dopo quel folgorante debutto, a regalargli la più bella uscita di scena del cinema moderno con Pierrot le fou – Il bandito delle 11: itinerario di (auto)distruzione alla fine del quale Belmondo si tinge la faccia di blu, si fascia la testa di candelotti gialli e rossi e salta in aria mentre la sua voce e quella di Anna Karina, fuori campo, si mescolano ne L’eternité di Rimbaud.
Al di là dei film venerati dall’internazionale cinèfila, Belmondo era e voleva essere un attore popolare. L’erede di Douglas Fairbanks e delle sue acrobazie, più che la risposta «rive gauche» a Humphrey Bogart, che ammirava e imitava in Fino all’ultimo respiro. Anche perché di Bogart non aveva la concretezza, la pesantezza terrestre, la consapevolezza tragica.
Figlio del dopoguerra almeno quanto il predecessore americano incarnava in chiave gangsteristica lo spirito “entre-deux-guerres”, Belmondo era leggero, mercuriale, incontenibile. Un concentrato di energia – e di dissipazione, che poteva finire suicida (vedi anche Stavisky il grande truffatore di Alain Resnais, altro film sfortunato di un grande), ma senza mai travolgere nella sua caduta altri che se stesso.
Simpatico come nessuno prima e dopo di lui – detestava le parti in cui non poteva sfruttare questa dote – era l’ideale per i ruoli di ladro gentiluomo, di fascinosa canaglia, di uomo d’onore, di gangster romantico e comunque di irriducibile individualista.
Fedelissimo nelle amicizie, in amore non vinceva quasi mai, specie nei film migliori. E se già in Fino all’ultimo respiro veniva tradito dall’americanina Jean Seberg, Truffaut, che malgrado l’ammirazione sconfinata lo diresse una volta sola, ne avrebbe fatto il giocattolo di una fatalissima Catherine Deneuve in La mia droga si chiama Julie.
Ammirato ovunque e da subito – per Jean Gabin era il suo unico erede, per Henry Fonda uno dei tre migliori attori al mondo, per Marlene Dietrich una vampata di «aria nuova, sangue nuovo, nuovo erotismo, nuova vitalità, nuova normalità per tutta quella nidiata di attori contemporanei così morbosamente attaccati alle loro nevrosi» – Belmondo conosceva il proprio valore. E se amava spendersi in film senza troppe pretese, una sua eventuale autoantologia avrebbe compreso diversi titoli memorabili.
Su tutti, oltre a quelli già ricordati, sono da citare i film che fece in Italia nei primi anni 60, quasi un ”a parte” nella sua carriera, e cioè La ciociara di De Sica, Lettere di una novizia di Lattuada, La viaccia di Bolognini. Ma certo lui sentiva più vicini titoli come Asfalto che scotta di Claude Sautet, dove faceva coppia con Lino Ventura.
O tre film di Jean-Pierre Melville (che guardacaso appariva anche in Fino all’ultimo respiro), e cioè Leon Morin, prete, ma soprattutto Lo spione e Lo sciacallo, tutti dei primi anni 60, il suo periodo d’oro. Seguiti da Borsalino di Jacques Deray, successone commerciale dov’era al fianco di Delon, dal Clan dei Marsigliesi, di José Giovanni, dal divertente Trappola per un lupo, con la sua fiamma di allora, Laura Antonelli, dove è nuovamente diretto da Chabrol dopo il lontano e memorabile A doppia mandata; fino a Come si distrugge la reputazione del più grande agente segreto del mondo, ennesima autoparodia del fido de Broca, 1974.
Poco da segnalare invece in età matura, se non una accorta gestione della propria immagine. E il ritorno al teatro con personaggi all’altezza della sua fama di mattatore, fra cui Kean e Cyrano. Ma questo mondo di divi agli estrogeni, di effetti speciali, di attori virtuali, andava stretto alla sua straripante umanità. E Belmondo, che per tutta la vita aveva scelto di restare francese respingendo le offerte del cinema americano (solo una volta, con Howard Hawks, stava per cedere, ma il film sui mercenari anni 20 non si fece), preferiva ormai tenersi in disparte.
30 Ottobre 2020
France Odeon 2020. Il meglio del cinema francese è online
Il biglietto è unico, 9.90 euro, per tutto il festival, oltre quindici titoli…
6 Aprile 2020
Cose (In)visibili. La Festa del Cinema del Reale si sposta sul web
La quarantena è già stata molto lunga e non si sa ancora per quanto continuerà,…
17 Settembre 2017
Storyboard, il cinema prima del cinema. In mostra
È "Storyboard– Il cinema frame by frame", la mostra che la Casa del cinema di…