Addio Ennio Morricone, il DNA musicale delle nostre vite
È morto a Roma – all’alba del 6 luglio – Ennio Morricone, leggendario musicista e compositore di leggendarie colonne sonore che non solo hanno fatto la storia del cinema ma sono entrate nel costume, fino a diventare parte del nostro DNA musicale. In oltre cinquant’anni di splendente carriera ha scritto oltre cinquecento colonne sonore (molte per film letterari), vincendo due premi Oscar (nel 2007 alla carriera e nel 2016 per “The Hateful Eight” di Quentin Tarantino) e con Sergio Leone ha lasciato il segno più indelebile musicando le sue due trilogie. Se ne va una colonna (non solo sonora) del cinema e della musica mondiale…
Man mano che si cresce si inizia a fare esperienza del mondo. È una cosa piuttosto banale, certo, ma l’ordine con cui si scoprono le cose non va sottovalutato. La prima volta di ogni singola novità la ricordiamo tutti, perché è un fatto evidente, è il palesarsi di una porta che prima non c’era e subito dopo invece si è aperta. Esistono tuttavia delle eccezioni, delle porte che anche sforzandoci non riusciamo a ricordare quando le abbiamo scoperte, cose che per noi è come se esistessero da sempre. I Beatles, ad esempio, o i quattro colpi del destino della Quinta di Beethoven. Ed Ennio Morricone.
Se pure qualcuno volesse obiettare che invece la prima volta che ha ascoltato la musica di Morricone se la ricorda bene, che magari ricorda anche il cinema e il film, che addirittura quel motivo se lo ricorda così bene che potrebbe canticchiarlo seduta stante, dovrebbe ricredersi. Quella che si ricorda non è mai la prima volta in cui ha ascoltato Morricone, ma la prima volta in cui sapeva che quello che stava ascoltando era Ennio Morricone. Perché nessun musicista ha avuto la stessa capacità di penetrare in maniera così capillare nella memoria musicale collettiva.
Prima ancora degli splendidi temi per gli altrettanto splendidi film, c’erano state Se telefonando di Mina o Sapore di sale di Gino Paoli, tutte arrangiate da lui. Prima ancora di aver effettivamente visto gli spaghetti-western di Leone, tutti sapevamo che quelle tre rapide note di armonica erano il segno di uno scontro all’ultimo sangue fra due cowboy davanti a un saloon. Prima ancora di riuscire razionalmente a ricondurre quei temi ai film a cui appartengono, noi tutti li conoscevamo già, ascoltati per radio, in televisione, come suoneria dei cellulari. La musica di Morricone è un qualcosa che si conosce sempre a priori.
Lo sapeva bene anche Sergio Leone, suo vecchio compagno di scuola sin dai tempi delle elementari, che infatti voleva la sua musica già pronta prima ancora di girare. Sulle note poi costruiva le scene, adagiandosi sulle melodie per farsi dettare i ritmi del montaggio, dei primi piani, dei movimenti di macchina. Sul set voleva il silenzio assoluto e diffondeva dagli altoparlanti la musica di Morricone, perché entrasse nella mente di tutti, dai macchinisti agli attori, e ispirasse anche la recitazione (raccontava a Gianni Minà in un’intervista: «Attori anche della classe di De Niro, attentissimi alla presa diretta, mi hanno detto di tenere la musica perché li aiutava»). Morricone era, in qualche maniera, uno sceneggiatore per Leone, strutturava i suoi film e ne cristallizzava l’atmosfera nei suoi temi indimenticabili.
Sembravano quasi due personaggi da fumetto messi vicini. Il regista enorme e autoritario e il compositore mingherlino e con gli occhi ingigantiti dalle lenti spessissime. In realtà Morricone era di un anno più grande, del 1928, e sebbene nato a Roma aveva origini ciociare. Ma nella Capitale ha sempre vissuto, diplomandosi al Conservatorio di Santa Cecilia e poi vivendo a lungo a Trastevere, nel regno dell’amico regista, con l’amatissima moglie Maria che gli è stata vicino fino all’ultimo.
Certo, l’universalità del suo lavoro nasce anche dal suo essere un compositore instancabile. Oltre cinquecento collaborazioni diverse sono un numero enorme, talmente gigante da permettere di dire a buon diritto che non esista al mondo qualcuno che non abbia visto un film con una sua colonna sonora. Si tratta di pura matematica, per carità, nulla di più lontano dalla musica, ma rendono bene l’idea di quanto Morricone sia stato effettivamente imprescindibile negli ultimi sessant’anni, nel cinema come nella musica.
Nessuno come lui ha saputo rompere il taboo per eccellenza, lo spettro che aleggia sempre per chi lavora scrivendo colonne sonore, cioè che la musica si perda nelle immagini, che non sia altro che una stampella e che venga spesso dimenticata. È questa la lotta di tutti i compositori cinematografici: sopravvivere al film.
E non c’è forse qualcuno che ci sia riuscito meglio di Morricone. Soprattutto perché è stato capace di far emergere il suo lavoro senza mettere in ombra il film, ma anzi valorizzandolo. I suoi temi sono riconosciuti sì all’istante, ma evocano le immagini, nitidamente, in un processo quasi alchemico.
Così per la musica avvolgente di Nuovo cinema Paradiso, che è impossibile slegare da quel finale memorabile; così per il tema aggressivo e incalzante di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (nelle foto), che richiama indissolubilmente il volto intransigente di Gian Maria Volonté; così per mille altri che meriterebbero di essere menzionati e ricordati ma che è impossibile citare senza farne un elenco confuso, tra cui moltissimi adattamenti da Teorema di Pasolini a Diabolik di Mario Bava, da Partner di Bertolucci a La leggenda del pianista sull’oceano di Tornatore, da Tempo di uccidere e Gli occhiali d’oro di Montaldo a Gli intoccabili di De Palma, da Le mani sporche di Petri a Il Maestro e Margherita di Petrović, ai due titoli di Dario Argento, Il Fantasma dell’Opera (da Gaston Leroux) a La Sindrome di Stendhal (dall’omonimo libro di Graziella Magherini).
La sua musica è andata oltre le immagini. I musicisti lo hanno sempre riconosciuto come un Maestro, non solo i colleghi compositori come John Williams o Quincy Jones, che nel consegnargli l’Oscar urlò in italiano: «Ennio, il mio fratellino!». Anche i rocker duri e puri lo hanno omaggiato, personaggi come Bruce Springsteen, i Metallica o Roger Waters, che parteciparono all’album collettivo We all love Ennio Morricone, rivisitando alcune delle colonne sonore più celebri e che hanno poi spesso riproposto quelle cover nei loro concerti.
Uno dei suoi più grandi ammiratori, Quentin Tarantino, dopo aver incluso costantemente nei suoi film i temi scritti per altri registi, nel 2015 riuscì finalmente a convincerlo a comporre la colonna sonora del suo The Hateful Eight; ritirando il Golden Globe a nome di Morricone disse: «Per quanto mi riguarda è il mio compositore preferito, ma quando dico compositore non intendo solo di musica da film, intendo Mozart, Beethoven, Schubert…».
In un giorno così triste, l’unica consolazione è che musica e film sono opere in grado di conservarsi uguali a se stesse nel corso del tempo. Le melodie di Morricone resteranno, non per retorica, ma materialmente. Anche le generazioni future le conosceranno senza sapere quando le hanno scoperte per la prima volta. Saranno ancora e sempre un rifugio per tutti, come lo sono state in quarantena, quando da un tetto di Roma una chitarra elettrica diffondeva su Piazza Navona quelle note indimenticabili.
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.
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