Addio Ermanno Rea, cantore delle scomparse

Si è spento a Roma nella notte tra il 12 e il 13 settembre, all’età di 89 anni, il grande scrittore, giornalista, fotografo e intellettuale di sinistra napoletano. Tra i suoi libri più celebri “La dismissione”, dedicato al progetto di Bagnoli, che ha ispirato Gianni Amelio per “La stella che non c’è”. Ma il cinema si è rivolto alla sua opera anche nel caso di illustri scomparse: Federico Caffè e Renato Caccioppoli …

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Il suo prossimo libro, in uscita il prossimo 13 ottobre per Feltrinelli, si intitolerà Nostalgia. È questa l’atmosfera, il sapore, l’immagine con cui Ermanno Rea si congeda dal mondo. Una parola che rischia di suonare profetica, anche se solo un anno fa disse: “Più nulla mi lega al passato. A 88 anni mi sento spaesato perché stiamo rinnegando tutto”.

Eppure al mondo che non c’è più e alle occasioni perse, Rea ha dedicato gran parte del suo lavoro di scrittore e di giornalista, la sua ricerca di fotografo appassionato, lo sguardo dell’intellettuale apertamente di sinistra e apertamente, continuamente deluso, che rivolgeva al mondo e a quella sua Napoli che del mondo era ai suoi occhi un condensato perfetto.
Rea è morto a 89 anni nella sua casa romana, nella notte tra lunedì 12 e martedì 13 settembre, ma il nuovo libro era, ancora una volta, ambientato a Napoli, in uno dei quartieri simbolo della città, Rione Sanità: la storia di un’amicizia fatale, raccontata con i toni da melodramma che quei vicoli impregnati di vita e di tragedia impongono, voglia di riscatto e di destini già scritti, con una scrittura sempre attenta alla realtà e alla vita vera, tant’è che tra i protagonisti del libro c’è un sacerdote che ricorda molto don Antonio Loffredo, il parroco che nella Sanità combatte per strappare i giovani dalle mani tentacolari della camorra.

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“Ho sempre amato i perdenti”, confessò in un’intervista di qualche anno fa. “Perché perdenti siamo tutti, in fondo. E io detesto quelli che vincono sempre, perché troppo spesso sono mascalzoni e corrotti”. Amava le persone sensibili, fragili magari, e rincorreva, per via di un’educazione familiare che agli ideali social-comunisti intrecciava la gentilezza dell’armonia, il filo di una giustizia destinata a sfilacciarsi sempre.

Perdente è stata sicuramente la scommessa di Napoli e della politica industriale  italiana sul progetto di Bagnoli, a cui Rea ha dedicato uno dei suoi romanzi più noti, La dismissione, finalista allo Strega, storia dello smantellamento dell’acciaieria Ilva, simbolo di una città che ha mancato la chance della rinascita industriale e che divenne, nel 2006 il film diretto da Gianni Amelio, La stella che non c’è, premiato dai critici ai David di Donatello, protagonista Sergio Castellitto, anche vincitore del Premio Pasinetti per la sua interpretazione di Vincenzo Buonavolontà, l’ex operaio metallurgico che in preda ad una sorta di ossessiva etica del lavoro, parte alla volta della Cina per consegnare ai nuovi proprietari dell’altoforno un pezzo che sapeva difettoso.

Un film che era un viaggio nella Cina lontana e nella nuova identità del protagonista, e che partiva là dove il romanzo di Rea lasciava il lettore, nell’addio ad un mondo in irreversibile trasformazione che dal buco di Bagnoli, svuotata dagli acquirenti cinesi, si allargava a contenere tutta Napoli.

Ma in fondo, Rea, scappato dalla Napoli degli anni Cinquanta e da un PCI troppo legato all’identità stalinista, ex giornalista dell’Unità e di Vie Nuove, fotografo nella Berlino triste del pre-muro, saggista lungo i 650 chilometri del Po descritti nel 1990 nel suo Il Po si racconta, emigrato consapevole prima a Milano e poi a Roma, Rea sapeva di avere un rapporto molto speciale con la scomparsa, con la sparizione: delle idee, dei complessi industriali, delle utopie, delle persone.

E il cinema si è rivolto alla sua opera anche nel caso di illustri scomparse, a cominciare da quella di Federico Caffè, l’economista di fama internazionale sparito il 14 aprile del 1997, protagonista del libro di Rea L’ultima lezione. La solitudine di Federico Caffè scomparso e mai più ritrovato (Einaudi, 1992) che ha ispirato il film omonimo di Fabio Rosi, con Roberto Herlitzka nei panni del protagonista; e poi Renato Caccioppoli, il geniale studioso portato sul grande schermo da Mario Martone in Morte di un matematico napoletano a cui Rea si era avvicinato in Mistero napoletano vincendo nel 1996 anche il Premio Viareggio, nell’indagine in forma di diario sul suicidio nel 1961 di Francesca Spada, giornalista culturale dell’Unità che a Caccioppoli era legata dalla militanza nel Partito comunista, ricco a quel tempo di intellettuali e dirigenti politici di spicco, da Amendola a Napolitano.

Dopo aver pubblicato Fuochi fiammanti a un’hora di notte (Rizzoli 1998, Premio Campiello 1999), Napoli Ferrovia (Rizzoli 2007) e La fabbrica dell’obbedienza. Il lato oscuro e complice degli italiani (Premio Brancati-Zafferana 2011), Rea è tornato a Francesca Spada, nel 2012 pubblicando La comunista (Giunti), ma qui la giovane collega di cui era segretamente innamortato è un fantasma, lo spettro di una Francesca che impersonava l’entusiasmo dell’impossibile per un partito, una città, una fase della nostra storia ormai perduta per sempre, immersa, ineluttabilmente, in una struggente, irrimediabile nostalgia.