Addio Juliette Gréco, la voce dei poeti. E ribelle ostinata tra canzone e cinema (d’autore)


Cantante, attrice, icona dell’esistenzialismo francese, ribelle ostinata e simbolo della libertà femminile. È morta il 23 settembre all’età di 93 anni, nella sua Provenza, Juliette Gréco.

Con quella sua silhouette leggera, l’incarnato bianchissimo e gli occhi bistrati di nero, Juliette arriva a Parigi appena ventenne, subito dopo la guerra, segnata dal dramma della deportazione della madre partigiana che, andando a cercare, le costa a sua volta l’arresto da parte della Gestapo nella Francia occupata. Nei caffè di Saint-Germain-des-Prés, covo esistenzialista di intellettuali, artisti, filosofi e comunisti, la giovane ragazza di provincia – era nata a Montpellier il 27 febbraio del 1927 – scopre la passione per la politica e per la canzone.

Frequenta Marguerite Duras, Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir. E scrittori e poeti fanno a gara per scriverle i testi. Raymond Queneau e Jean-Paul Sartre firmano i suoi primi successi: Si tu t’imagines... e La Rue des Blancs-Manteaux. Ma poi arrivano anche Jacques Prévert, Boris Vian, Charles Aznavour, Brel, Gainsbourg.

Nella vita di Juliette Gréco ci sono così tanti personaggi mitici che è impossibile riassumerli: il filosofo Maurice Merleau-Ponty, la scrittrice Françoise Sagan; Jean-Pierre Wimille, pilota automobilistico, primo amore folle di Juliette, e poi Miles Davis, incontrato a Parigi – lui ha 23 anni, lei 22 – e lungamente amato.

Con Philippe Lemaire, il bell’attore francese, Juliette si sposa nel ’53 ed avrà la sua unica figlia, Laurence-Marie. Negli anni seguiranno altri due matrimoni: Michel Piccoli (1966-1977) e poi il pianista Gérard Jouannest (dal 1988 al 2018, anno della sua morte).

Mentre canta, Juliette Gréco fa anche film, perché in realtà era quella la sua prima passione. La vediamo nel 1949 nell’ Orfeo di Jean Cocteau; Nel regno dei cieli di Julien Duvivier, anche se il suo primo vero ruolo è in Labbra proibite di Jean-Pierre Melville, nel 1954. Appare in Eliana e gli uomini di Jean Renoir, con Ingrid Bergman e Jean Marais (1955), poi La castellana del Libano, di Richard Pottier (1956). All’epoca della sua love story con il produttore americano Darryl Zanuck la ritroviamo nei panni di una barista animalista ne Le radici del cielo di John Huston dal romanzo Romain Gary, e anche nel fortunato Bonjour tristesse di Otto Preminger e basato sull’omonimo bestseller di Françoise Sagan.

A renderla una star davvero popolare sarà però il ruolo della donna del mistero nella celebre serie francese Belfagor, ovvero il fantasma del Louvre, ispirata dall’omonimo romanzo di Arthur Bernède (1926) che, passata in tv nel ’65 e più volte replicata, ha terrorizzato più di una generazione. Mentre lei, donna ostinata e “scandalosa”, resterà un’icona indelebile non solo della musica.