Addio Ugo Gregoretti, l’ironia sovversiva di uno sperimentatore
È scomparso il 5 luglio nella sua casa romana Ugo Gregoretti, giornalista, regista, drammaturgo. Aveva 88 anni. Dalla televisione al cinema, dal giornalismo alla lirica ha sempre usato l’arma dell’ironia per innovare e sperimentare. Anche nel caso del cinema militante dove è arrivato persino a mettere insieme comicità e fantascienza. Ha tenuto a battesimo il nostro premio Bookciak, Azione! sostenendoci fin qui. Sabato 6 luglio camera ardente alla Casa del cinema di Roma, dalle 10 alle 13. E alle 18 i funerali alla chiesa degli Artisti a piazza del Popolo…
“Ah no! Se viene Giuliano Ferrara esco dalla cassa e lo caccio a pedate!”.
“Ma se è tre volte più grosso di te”.
“Be’, ma vuoi mettere l’effetto sorpresa? Un morto che resuscita e ti mette in fuga”…
Se l’era immaginato così il suo funerale Ugo Gregoretti. O meglio, così l’aveva scritto, immaginando il solito familiare bisticcio con sua moglie Fausta a proposito della chiesa dove organizzare le esequie.
Lei a parteggiare per Sant’Agostino di Campo Marzio, vicino casa, “dove ci sono Caravaggio, un Raffaello, e due Sansovino…”, lui, invece, a tifare per la chiesa degli artisti a piazza del Popolo perché “da che mondo è mondo, i funerali dei registi, a Roma, si fanno a Santa Maria di Montesanto”. E poi perché a Sant’Agostino c’è la Ztl, ci vuole il taxi e così “non ci verrà nessuno! Sarà un flop! Sarà l’ultimo flop della mia carriera!”.
Ora che Ugo Gregoretti davvero ci ha lasciati – a 88 anni, anzi sarebbero stati 89 il prossimo 28 settembre – è davvero difficile non immginarlo a canzonare di lassù la folla da stadio che riempirà proprio la chiesa degli artisti a piazza del Popolo, dove immaginava il suo funerale scrivendo quella sceneggiatura per un ultimo film mai realizzato, tratto dalla sua autobiografia, Finale aperto (del 2005), poi diventato La storia sono io (con finale aperto), sempre per Alberti editore (2012).
Pagine preziose, tanto più adesso, per capire a fondo l’ironia travolgente di quel giovanotto di buona famiglia, con severi studi dai gesuiti e i vestiti cuciti dal sarto che si ritrovò, a sua insaputa, ad essere “il regista della classe operaia, senza aver letto Marx, senza essere comunista”. E che affrontò il Sessantotto cambiando “i sandaletti capresi con le scarpe da fuga”, per sfuggire alle cariche della polizia.
Così ha fatto la sua rivoluzione Gregoretti. Con le armi dell’ironia e sperimentando su ogni fronte artistico, tv, giornalismo, cinema, lirica. Da vero sovversivo. Usando la fantascienza per raccontare le lotte in fabbrica (Omicron, gigantesco… da vedere e rivedere), mettendo gli operai nei panni dei celerini e i funzionari del Pci in quelli dei padroni nello storico Apollon, il documentario manifesto sulla vittoriosa battaglia della tipografia romana nel ’69.
Mettendosi lui stesso, in scena da cronista con tanto di microfono, nell’universo ottocentesco di Dickens (col geniale Circolo Pickwick che nel’67 fece “scandalo”), satireggiando costume e società dell’Italia del boom economico attraverso le telecamere di “mamma Rai”(Controfagotto), fronteggiando ancora una volta con le armi dell’ironia – che qui si fa feroce – autori come Rossellini, Godard e Pasolini, mettendo in guardia dal potere funesto del consumismo ( Il pollo ruspante nel collettivo RO.GO.PA.G).
Fino a quell’ultimo irresistibile duetto con Andrea Camillari, nei panni del Gatto e la Volpe, preziosa operina (ll Pinocchio (mal) visto dal Gatto e la Volpe) del 2016 scritta a quattro mani, con grande sfoggio di ironia e soprattutto di autoironia.
Anche della sua militanza Gregoretti ha sempre raccontato con divertito distacco – quante sue interviste abbiamo raccolto su l’Unità ! -. Non avrebbe mai preso la tessera del Pci, lui borghese «con troppe cravatte» – sempre elegantissime – , se non fosse stato per l’insistenza di un «compagno parecchio determinato». La «presa di coscienza», infatti, arrivò dopo l’«occupazione» della Mostra di Venezia del Sessantotto. E soprattutto dopo «una severa autocoscienza e la militanza nell’Anac», la storica Associazione degli autori di cui è stato a lungo presidente.
Per noi di Bookciak, poi, Ugo Gregoretti è stato soprattutto un grande padre, un punto di riferimento insostituibile quando parecchi anni or sono ha tenuto a battesimo il nostro premio, Bookciak, Azione! insieme a Ettore Scola e Citto Maselli, permettendoci di nascere ed esistere ed accompagnandoci fin qua.
A Fausta sua moglie e compagna di una vita, ai figli Orsetta, Gian Lorenzo, Filippo, Lucio (nati, come annota Gregoretti, ognuno in occasione dei suoi film più militanti, da I nuovi angeli a Contratto) va il nostro abbraccio più forte.
A Ugo la nostra gratitudine piena d’affetto e un’ultima risata, rileggendo ancora un brano della sua autobiografia in cui racconta della sua infanzia: “Il sabato c’era l’adunata, si marciava per Roma e ci si radunava con altre Legioni. Quando incrociavamo i balilla proletari del Tiburtino o di Torpignattara con infallibile istinto di classe ci prendevano a pernacchie e a parolacce: A froci! A pappa molla, a beduini! Per fortuna avevamo l’ordine di non reagire altrimenti ci avrebbero pestato. Evidentemente, sotto le coltri del fascismo interclassista, l’odio sociale covava intatto».
Ciao Ugo, già ci manchi.
Gran bel saluto Gab! Un abbraccio anche da parte mia. Ci mancherà il suo mix fantastico di morbidezza&elegante ironia