Cara Donna Letizia ti scrivo. L’Italia (bigotta) dei ’50/’60 leggendo la posta del cuore (in un doc)

In prima su Sky Arte, l’8 maggio (e in replica nei due giorni successivi) “Sogni, sesso e cuori infranti (Piccola Posta parla)“, doc di Gianfranco Giagni, sceneggiato da Silvana Mazzocchi e Patrizia Pistagnesi, prodotto e distribuito dall’Istituto Luce-Cinecittà. Un viaggio nella vita (difficile) delle donne italiane negli anni ’50 e ’60, attraverso la corrispondenza sulle riviste femminili, rievocata da Anna Foglietta. Tra stereotipi mediatici e dilemmi quotidiani, testimonianze d’autore e rivelativi filmati d’epoca, un ritratto ironico e drammatico dell’Italia sessista e retrograda che fu, e che non ha del tutto smesso di essere…

«Non fare domande sulle sue azioni, e non mettere in discussione le sue capacità di giudizio: ricordati che è lui il padrone della casa, e come tale eserciterà la sua volontà con correttezza». Dal (do)decalogo della «Moglie Perfetta» (pubblicato sull’Housekeeping Monthly nel 1955), scandito da Anna Foglietta alla fine del doc (in prima tv su Sky Arte l’8 maggio alle 21.15) Sogni, sesso e cuori infranti (Piccola Posta parla): e (ci) parla, appunto, di un’Italia maschilista, bigotta, conformista, dove le lettere alle riviste femminili degli anni ’50 e ’60 fanno emergere le contraddizioni tra ruoli imposti e (som)movimenti della realtà.

Il regista Gianfranco Giagni torna (dopo Le scandalose. Women in Crime del 2016) a indagare e documentare il confine tra rappresentazione e verità del femminile nel Belpaese che fu. Stavolta, con le sceneggiatrici Silvana Mazzocchi e Patrizia Pistagnesi, ci si muove da (e attraverso) le aspirazioni e i dilemmi (erotico-sentimentali e sociali) confidati dalle lettrici alle varie “Donna Letizia” e “Contessa Clara”, destinatarie della “Piccola Posta” (già allora satireggiata nell’omonimo film con Franca Valeri, che il doc rievoca).

Anna Foglietta, con straniante ironia, dà corpo e voce alle “consigliere” delle riviste, sacerdotesse dell’idea costituita di donna in famiglia e in società (dove l’una coincide ancora in buona parte con l’altra): l’attrice si muove in un interno anni ’50 che, emblematicamente, lascia scorgere la sua natura artefatta di set, scoprendo, come afferma il regista, «la finzione di una Casa di Bambola. Così come era finto quel mondo che le Contesse Clara e le Donne Letizia suggerivano alle loro lettrici».

Non a caso, il quadro che emerge dal film è segnato dal continuo contrasto tra la gabbia (fintamente dorata) delle rappresentazioni entro cui sono ricondotte le donne e la concretezza di desideri, dubbi e disagi che ne contrassegnano il quotidiano. Le lettere arrivano da uno stato (sempre meno accettato) di prigionia sociale, civile e culturale, ben restituito (anche) attraverso i numerosi filmati di repertorio (produce e distribuisce l’Istituto Luce-Cinecittà).

È un’Italia dove il cattolicesimo pre-conciliare impone alle donne di coprire anche in estate le scandalose, nemmeno nominabili “ascelle”, dove una ragazza è portata a ritenere che la verginità sia «l’unica cosa bella che ho», o «chi non vuole maritarsi è una spostata». E intanto si sognano gli immaginari artefatti dei fotoromanzi e dei film (è dentro una sala vuota che inizia, quasi profeticamente, il doc), in una società di massa e in metamorfosi dove tuttavia lo sviluppo non ha ancora portato (se mai porterà) il progresso: non per nulla, si giustifica ancora il “delitto d’onore”, e un giurista intervistato afferma che «è preferibile, alla donna giurata, la donna sposa e, soprattutto, la donna madre».

A segnare un ulteriore scarto fra gli stereotipi inzuccherati dei media e la realtà intervengono le voci critiche di intellettuali (da Natalia Aspesi a Cesare Zavattini) che si sono interrogati e s’interrogano su quell’«alienazione femminile» (Pasolini, citato nel doc) che la corrispondenza rosa di allora, (ri)letta oggi, mette tanto più in risalto.

Certo la situazione è (già) destinata a cambiare: mentre nella “Piccola Posta” una Brunella Gasperini porta le sue lettrici a «scoprire la disubbidienza» (senza però ancora «incitare alla ribellione»), i materiali d’epoca ci mostrano le prime barbiere, autiste di taxi e altro ancora.

Ma il doc si mantiene al di qua delle esplosioni che romperanno molte gabbie, mostrandoci invece l’ostinazione e la pervasività dell’alleanza perversa (tutt’altro che archiviata) tra restrizioni sociali e immaginari (pre)confezionati. E le acrobate mostrate a più riprese nel film paiono una metafora (anche) delle donne di oggi, in equilibrio sui fili di una società che ancora non è venuta pienamente a patti con i suoi stereotipi.


Emanuele Bucci

Libero scrittore, autore del romanzo "I Peccatori" (2015), divulgatore di cinema, letteratura e altra creatività.

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