Chiedi chi era Roberto Roversi. L’intellettuale (totale) dell’inattualità in un doc

Dal 10 al 13 giugno su MYmovies / Biografilm è in streaming “La macchia d’inchiostro”, doc di Ciro Valerio Gatto dedicato a Roberto Roversi, partigiano, scrittore, poeta, commediografo, libraio e paroliere di alcuni tra i più alti momenti della canzone d’autore italiana. A fare da filo conduttore una pièce (che dà il titolo al film) inedita e dimenticata tra le pagine di un vecchio libro del grande intellettuale bolognese e riscoperta dalla nipote Caterina. Il doc è stato presentato al Biografilm di Bologna (dal al 14 giugno) …

Si dice che dalla radura nel bosco si vedano distintamente solo gli alberi circostanti mentre lo sguardo di chi siede sul monte abbraccia l’intera foresta.

È questa metafora che potrebbe riassumere la vita e il metodo intellettuale di Roberto Roversi così come appare dalla biografia umana e culturale del poeta bolognese: la scelta di agire da un luogo defilato e periferico, in una marginalità vista e vissuta come dimensione ideale. Non un eremitaggio ma un luogo dal quale meglio osservare, dalla giusta distanza e nel frastuono attutito.

Bologna e il Biografilm Festival 2021 (dal 4 al 14 giugno), giunto alla 17° edizione, rendono omaggio al poeta bolognese col doc La macchia d’inchiostro (2021), per la regia di Ciro Valerio Gatto che ne è anche sceneggiatore con Federico Montevecchi, Luca Malini e Roberto Montevecchi e grazie alle case di produzione bolognesi Mammut ed Ethnos.

Roversi è stato partigiano, scrittore, poeta, commediografo e paroliere di alcuni tra i più alti momenti della canzone d’autore italiana. Scrisse testi per Lucio Dalla, Claudio Lolli, Mina, Paola Turci e per gli Stadio (sue le parole di Chiedi chi erano i Beatles).

Ma fu anche libraio e scopritore di talenti, che incoraggiò e sostenne con generosità, alcuni dei quali sono tra i testimoni nello scorrere delle immagini.

La scoperta, grazie alla curiosità della nipote Caterina, di un’opera teatrale inedita e dimenticata tra le pagine di una vecchia agenda del nonno dà il titolo al documentario e diventa il filo conduttore che lega le testimonianze documentali e le voci di quanti hanno contribuito ricordando l’opera e l’uomo.

La pièce, un misto di storia vera e leggenda, viene mostrata fin dalle prime fasi preparatorie e si basa sulle vicende di Paul-Louis Courier, ufficiale francese nella campagna d’Italia del 1796, ellenista e scrittore alle prese con un prezioso volume.

Non è un caso che Roversi fosse interessato alla figura di Courier, dedito alla letteratura classica ed ex militare napoleonico riluttante. Una delle sue prime raccolte poetiche, infatti, si intitola Dopo Campoformio (1962) – unico volume dell’autore pubblicato da una grande casa editrice, la Feltrinelli – nel quale si richiama il trattato tra Francia e Austria, siglato per i francesi da Napoleone nel 1797, considerato un tradimento dell’ideale rivoluzionario che aveva fatto sperare i patrioti italiani anti-asburgici. Secondo Roversi, dopo Campoformio la storia si è involuta in un processo culminato con l’assurdità delle due guerre mondiali.

Sono innumerevoli i motivi per parlare di Roberto Roversi, almeno tanti quanti sono gli angoli visuali dai quali guardare all’opera di quell’uomo, uno dei maggiori intellettuali della seconda metà del ‘900 italiano. Uno di quei motivi, forse il più importante, è riassunto in un termine raramente frequentato dall’intellettuale medio contemporaneo: l’inattualità.

Il termine valga a Roversi come una delle massime onorificenze dovute a chi sceglie di non stare nella radura ma di leggere la foresta. Un premio alla presa di distanza dalla mondanità, dalle parrocchiette e dai relativi rituali. Figura rara, quasi dalle parti di un eroe mitologico, al tempo della postmodernità egotica.

Roversi, intellettuale totale, marxista non ortodosso (e forse eretico), ha fatto per tutta la vita della “giusta distanza” e del controllo della propria produzione una prassi anche politica. L’esito, non secondario, è nel contributo attivo alla stagione dell’impegno e delle lotte tra gli anni ’60 e ’70 a partire dal monito al movimento del ‘68: “Dovete essere proprietari di quello che voi dite. Non fatevi travisare, non fatevi prendere in un meccanismo che inevitabilmente è destinato a schiacciarvi”.

Gli anni della contestazione costituiscono il terreno nel quale Roversi ha reso più palese la sua posizione di marxista critico, collocandosi fra coloro che durante quel decennio hanno spinto fino alle estreme conseguenze il rapporto fra ricerca letteraria e impegno politico, fra intellettuale e società.

È il periodo in cui, nella la sua rigorosa indipendenza, partecipa all’attività della nuova sinistra. In quegli anni formidabili fu infatti, da simpatizzante e da sostenitore della stampa non asservita a logiche di potere, direttore responsabile di Lotta Continua (lo stesso ruolo ricoperto prima da Piergiorgio Bellocchio e poi da Pasolini) ed editore/direttore della rivista Rendiconti, oltre che assiduo collaboratore dei Quaderni piacentini e di Giovane critica.

Ma è sicuramente con la raccolta di scritti del quasi-ciclostilato Descrizioni in atto che Roversi segna maggiormente la propria posizione “militante”. L’avvertenza posta in apertura del testo rappresenta totalmente lo spirito dell’epoca e la sua direzione operativa: Questo è il gruppo integrale delle Descrizioni in atto composte dal 1963 al 1969; di cui molte inedite; e adesso raccolte per essere liberamente mandate. Bologna, dicembre 1969.
Se c’è un merito da attribuire al documentario, è nel dare conto di una ininterrotta e indipendente coerenza dove l’uomo e l’intellettuale sono inscindibili.

L’importanza di Roberto Roversi per la cultura italiana è rilevante e inoppugnabile. Eppure, a causa della sua ritrosia, ha patito una sorta di oblio, se non una vera e propria rimozione.

Tuttavia il nome dell’intellettuale bolognese è noto al grande pubblico per i tre album più intensamente politici della carriera di Lucio Dalla: Il giorno aveva cinque teste (1973), Anidride solforosa (1975) e Automobili (1976). “Se non avessi conosciuto Roversi avrei fatto l’idraulico” disse una volta il cantante riconoscente a quell’autore libero, controcorrente e attualissimo.

La via scelta da Roversi è nel presente osservato con gli occhiali di una cultura profonda e di uno sguardo al passato liberato dalle nostalgie ma, al contrario, usato come strumento indispensabile per leggere il presente, segnalandone le storture, o dare la rotta per il futuro. Sentimento condiviso con Franco Fortini, ugualmente eretico e fin dai primi numeri collaboratore fisso della rivista letteraria Officina (1955-1959) fondata da Pier Paolo Pasolini, Francesco Leonetti e Roberto Roversi, con sede proprio nella Libreria Antiquaria Palmaverde, a Bologna, di proprietà dello stesso Roversi.

Nella presentazione della rivista, Roversi fa riferimento ad una scelta di campo metodologica, come un “manifesto” per l’opera e propria vita la vita stessa del poeta bolognese: “La presenza di «Officina» (…), contrassegnata da un sobrio e necessario artigianato (…) si colloca dentro ad (…) un mutamento di istituzioni culturali (… ) le cui conseguenze si potranno valutare in pieno negli anni seguenti”. Sobrietà, artigianato. E anche instancabile impegno perché, come diceva, la rivoluzione non c’è ancora stata, bisogna scrivere molto.

Ebbene, di tutto questo e altro ancora parla l’utile e didattico La macchia d’inchiostro nel corso del quale, tra altre cose, si ricorda una frase del libraio antiquario Roversi: “I tarli mangiano solo i libri buoni. Diffido dei libri non tarlati”.
Che il tarlo, per Roversi, rappresenti un alter ego della vecchia talpa di cui parlava Marx?