Dentro e fuori i set veneziani. Il libro di Irene Bignardi che è un doc di Wilma Labate

Un ricco itinerario veneziano tra ricordi di cinema che consentono giri da curiosi un poco appartati. È “Storie di Cinema a Venezia” (Marsilio Editore) di Irene Bignardi, bel vademecum per chi voglia esplorare la Venezia ancora impregnata dalle memorie dei sui tantissimi set e di chi li ha “vissuti”. Dalla favola nera di Ferida-Valenti al genio di Orson Welles, passando attraverso l’horror “rosso shocking” o  il sentimentale “Anonimo veneziano”. Storie e curiosità ora raccolte in “Raccontare Venezia”, il nuovo doc di Wilma Labate ospite delle Giornate degli Autori alla Mostra 74.

Via dalla pazza folla! C’è un modo per unirsi alle molte migliaia di turisti estivi veneziani e, contemporaneamente, sfuggire alla moltitudine? Forse si. Ce lo indica Irene Bignardi nel suo libro Storie di Cinema a Venezia (Marsilio Editore): itinerari che annodano ricordi di cinema, sparsi nel secolo scorso, o recentissimi, e che consentono giri da curiosi un poco appartati. Un ricco itinerario di luoghi veri, posticci o immaginari (magie da cinema), per gli appassionati.

Delle tante città che fanno binomio col cinema, scrive la Bignardi, Venezia non è mai solo uno sfondo (anche quando è ricostruita!), ma è sempre coprotagonista. E i 20 itinerari (nello spazio e nel tempo) suggeriti fanno sognare ad occhi aperti.

Si va dalla Venezia ricostruita a Los Angeles di Cappello a cilindro, 1935, copiata, un poco grossolana (con un Rialto da autentico Luna park!) ma molto romantica, ad opera dello scenografo di Quarto potere, Van Nest Polglase, nella quale Fred Astaire e Ginger Rogers ballano, amoreggiano e cantano Cheek to CheekHeaven, I’m in heaven…, sulle note di Irving Berlin.

E si prosegue con la favola nera di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, tra i primi ad accorrere al Cinevillaggio veneziano che, con attrezzature sottratte a Cinecittà, avrebbe dovuto far sopravvivere i fasti mussoliniani. Il frettoloso “trasloco” approdò ai Giardini di Castello e alla Giudecca. Sede dell’Istituto Luce fu il palazzo Bonvecchiati, vicino al Rialto. Servivano tecnici ed attori. In tanti si defilarono con mille scuse. Valenti, sempre a cerca di denaro, accettò l’invito e coinvolse la sua fidanzata Luisa Ferida. Non ebbero molti emuli. I pochi divi alloggiavano all’Europa, al Regina, al Danieli. La Bignardi ci elenca i film “salvabili” di questa produzione che non lasciò tracce significative.

Poi c’è la Venezia del genio Orson Welles. Per mancanza di fondi, Welles impiegò mille stratagemmi e due anni per completare il suo capolavoro, Otello. Era un film nel quale, detto con le sue parole, “Iago esce dal portico di una chiesa di Torcello per entrare in una cisterna portoghese della costa africana…”. Ogni tanto, Welles deve “guadagnarsi” i soldi per fare il film, andando a recitare in altri film. Spesso “filmacci”. Così ogni tanto la produzione s’interrompe; si sposta in luoghi ove Orson viene accolto e trova denari. In questo puzzle, alla fine poco resta della Venezia vera: Desdemona compare sullo sfondo di Palazzo Ducale. Altre scene includono la Cà d’oro, il “bovolo” di Palazzo Contarini. Talvolta, curiosamente, Venezia è in vece di Cipro.

Il mercante di Venezia di Michael Radford (2005), affronta uno dei testi più controversi (per via dell’antisemitismo sospetto) di Shakespeare, con Al Pacino, Jeremy Irons. Rispettando alla lettera il racconto del bardo, nella città che ospita il primo Ghetto al mondo (da visitare!), Radford sbarazza il dramma di Shakespeare da queste accuse. Qui il ponte di Rialto su cui si apre la storia è quello vero, ma tutto il resto della città è solo scenografia.

La “prima” Venezia di Visconti comincia al Teatro La Fenice, coi canti “Viva Verdi”, per Senso, da Arrigo Boito, capolavoro riconosciuto da molti, film osteggiato da tanti. La “seconda”, con il Des Bains (che ora sta per diventare un residence), la spiaggia del Lido e la Morte a Venezia (romanzo ambientato nel 1911), Dirk Bogarde (il suo “segreto” taccuino d’appunti durante le riprese) e la ricerca, ed il fascino, del giovane Tadzio.

Mambo di Robert Rossen, con Silvana Mangano e la sua voglia di ballare, ci porta dritti all’Hollywood sulla Laguna, costola delle produzioni romane, con un celebre bayon, rispolverato da Moretti. E, dietro le quinte, le scenate tra Gassman e la Shelley Winters, in procinto di separarsi. Sullo sfondo la tenebrosa Venezia dei palazzi nobiliari.

Venezia, invece, nello splendore del Technicolor. 1955: si gira Summertime. Tempo d’estate, il film di David Lean che sbancò i botteghini e, si dice, fece raddoppiare il numero dei turisti in città. Protagonisti del film, e di una celebrata storia d’amore, Katharine Hepburn e Rossano Brazzi. Il film è un romantico ripasso della mappa turistica veneziana, con una Pensione Fiorini, che in realtà non esiste, i caffè di piazzetta San Marco, Campo San Barnaba.

Eva il flop di Joseph Losey, americano allontanato dalla sua terra per le idee di sinistra, comincia in una “cupa” Biennale del Cinema del 1961, conservando il tono noir tra Torcello e l’Harry’s Bar.

Ancora Venezia. Stavolta quella di Tinto Brass e di Kim Arcalli, veneziani, nel loro colto apprendistato al cinema. Poi uno sguardo curioso in una villetta al Lido, dove De Bosio e Squarzina scrivono la sceneggiatura de Il terrorista, un film sulla Resistenza veneziana, che suscitò polemiche a non finire.

Conquistò invece il mondo, facendo concorrenza a Love Story, Anonimo veneziano (1970, nelle foto), film caposcuola dei “sentimentali”, con la firma di Enrico Maria Salerno, avviato al successo anche da un’importante recensione di Natalia Ginzburg: Campo Santo Stefano e la Locanda Montin, Cà Foscari e il Conservatorio, dalla Fenice ai Tre Oci, con la bellezza della Bolkan ed il fascino di Tony Musante, e la musica senza tempo di Stelvio Cipriani, sussurrata ancora da milioni di innamorati.

A Venezia… un dicembre rosso shocking, resta invece un film maledetto e, forse, incompreso: San Nicolò dei Mendicoli è la location principale, la regia è di Nicolas Roeg, e nella memoria, una Venezia davvero “strana”, invernale e quotidiana, con una scena d’amore tra Julie Christie e Donald Sutherland (presa dal “vero”?) che scandalizzò.

Giacomo Casanova, avventuriero, amante, scrittore, motivo di grande attrazione per i turisti lagunari, ha avuto un bel po’ di trasposizioni cinematografiche. Irene Bignardi ci ricorda il Casanova, “per ragazzi”, di Comencini (“Ho fatto un Pinocchio per adulti ed un Casanova per ragazzi”, diceva il regista) e quello “mortuario”, plumbeo di Fellini, con la Venezia di Danilo Donati tutta rifatta al Teatro 5 di Cinecittà.

Ma Venezia è anche città di elezione di Woody Allen, che ci è arrivato già in età matura e vi ha preso casa, oltreché coltivato i suoi amori.

Venezia è Henry James. Per qualche tempo lo scrittore alloggiò alla Pensione Wildner di Riva degli Schiavoni (“una camera sporca con una bella vista”), vicino al “suo” Caffè Florian. Il suo amore per la città è, per i più, sintetizzato in Le ali dell’amore (1997), regia Iain Softley, con una morte prematura in una Venezia crepuscolare e romantica.

Il volume racconta anche lo strano “miracolo” di Pane e tulipani di Silvio Soldini. Un “piccolo” film; una Venezia minore e dimenticata, da Santa Maria a Castello al Campo dei Miracoli. L’idea nata da un fatto di cronaca ed un imprevedibile successo in tutto il mondo. Licia Maglietta e Bruno Ganz, cameriere di origine islandese. Una “fiaba veneziana” contemporanea.

È un bello e fresco vademecum per chi voglia esplorare la Venezia ancora impregnata dalle memorie del cinema, quello di Irene Bignardi. Da tenere nello zainetto ed usare alla bisogna, cercando, anche d’estate, anche in momenti di sovraffollamento, una “nuova” Venezia “amata”, che, potenza del cinema, può anche divenire propria e privata.