Fellini, Moretti, Scola & Co. Quando il cinema era contro il caimano
L’anomalo bicefalo, il caimano, o i cavalieri Lusconi e Lombardoni di Scola e Fellini. Sono alcuni dei tanti nomi con cui cinema e teatro provarono a dare una forma a quella enorme anomalia che si chiama Berlusconi e che è morta il 12 giugno, a 86 anni, senza far morire le sue conseguenze…
Questa storia la dobbiamo per forza cominciare con un contratto stracciato. A chi oggi sotterra l’ascia di guerra, che forse non ha mai tenuto in mano con troppa convinzione, invocando la compassione per Silvio Berlusconi, visto che il 12 giugno è morto, a 86 anni, rispondiamo con quel semplice gesto: strappare un contratto.
Che poi, a pensarci, è il gesto più antiberlusconiano del mondo. Un contratto significa soldi, parole che promettono un futuro di obiettivi da centrare, in una parola: fumo. Sarà un caso che la tragica epoca del berlusconismo passò proprio per un contratto, sfacciatamente firmato negli studi della televisione pubblica, sotto gli occhi di un compiacente Bruno Vespa?
Un contratto per la politica, il passo definitivo verso un baratro morale. Perché se idee, lotta, visione del mondo diventano un contratto, passano per veri e autentici solo per l’apparenza di una firma, chi meglio di un imprenditore può guidare un paese? E infatti l’imprenditore era lì raggiante, ad allungare le mani su quel poco di Italia che sembrava non potesse essere comprato.
A santificazione in corso, ci preme invece ricordare chi a quella contaminazione mai accettabile tra potere economico e politico disse sempre no. Dunque, un contratto stracciato. Nel 2004 Berlusconi era premier, elargiva a destra (soprattutto) e a manca rassicurazioni sui conflitti d’interesse. Fra le tante sparate, decise un giorno di dichiarare che la sua natura liberale era sotto gli occhi di tutti, tanto che da produttore con la Medusa finanziava film «anche di registi comunisti, come Scola».
Il giorno dopo la Medusa si è ritrovata con un contratto stracciato e un film, Un drago a forma di nuvola (poi diventato in tempi recenti Il materiale emotivo), in meno. «Quando Berlusconi smetterà di fare politica, io ritornerò a fare film con lui», dichiarò placidamente Scola. Perché banalmente non si poteva essere entrambe le cose, imprenditore multimilionario, con tutti gli interessi che ne derivano, e capo del governo.
Fu un degli attacchi dal cinema che Berlusconi subì. Attacco frontale e netto, non solo sotto forma di satira come era già successo in passato. Lo stesso Scola, in Splendor, faceva comprare la sala cinematografica a un tal Cavalier Lusconi. Ma era poco anche questo di fronte alla ferocia di Fellini, che in Berlusconi vide l’uomo della pubblicità (non avendo fatto in tempo, per sua fortuna, a vederlo politico) e gli si oppose senza sosta.
Scherzando con Mollica diceva che lo avrebbe voluto, dopo che già in Ginger & Fred aveva cosparso una stazione di annunci del Cavalier Lombardoni, nel finale de La voce della luna, a invocare l’interruzione pubblicitaria, «ma mi ha risposto di no perché, in fondo, lui è contrario alla pubblicità».
Il cinema è rimasto una di quelle piccole oasi di resistenza al caimano, come Moretti volle chiamare il suo film. Forse per antica vocazione antitelevisiva, visto che l’anomalia berlusconiana è nata da lì. Forse perché una volta preso il controllo anche della tv pubblica non rimaneva che il grande schermo per esprimere il dissenso senza temere editti bulgari.
Oltre al film del 2006, Il caimano appunto, in cui si portava avanti una riflessione più rivolta ai rischi (le elezioni erano alle porte) che ai danni già causati, Moretti di Berlusconi aveva parlato già in Aprile, del 1998. Non c’era solo la fatidica esortazione a D’Alema, c’era soprattutto lo sconforto del veder materializzarsi, nel ’94, il grottesco. Una commistione di tragico e ridicolo che sarebbe dovuta essere l’essenza di ogni sguardo rivolto al sorriso sornione di Berlusconi dalla sua ascesa fino a oggi.
Ne Il caimano la scena più forte rimane non quella dell’incendio al tribunale, ma quella della valigia. Era la risposta visiva geniale alla contraddizione più atroce e più facilmente dimenticata del berlusconismo, ossia come abbia fatto un cantante di crociera a diventare l’uomo più ricco d’Italia. Più semplicemente: come sono arrivati i soldi? Moretti mostrava una valigia cadere dal cielo.
Sabina Guzzanti fece meno sconti, ne La trattativa tracciava una linea precisa tra gli interessi di Cosa Nostra e l’ascesa politica di Forza Italia. Riprendendo anche la sua imitazione televisiva, che fu una delle critiche più mordaci negli anni del primo governo. Senza scordare suo fratello Corrado, che più di tutti aveva saputo tirare bordate attraverso la satira.
Tra tv, cinema e Sicilia si mossero anche Ciprì e Maresco, con Belluscone prima e La mafia non è più quella di una volta poi, corrosivi come sempre, ma ormai quasi inascoltati. Col passare del tempo, mentre la presenza sulle scene diventava ormai costante, lo scandalo si acquietava, scadeva nel già visto. Non dev’essere un caso se il film più debole di tutti è anche il più recente, il dittico di Paolo Sorrentino, Loro.
Documentari ne sono stati fatti a milioni, così come reportage, interviste. Via via tutto è diventato meno incisivo, sotterrato da una spregiudicatezza politica che non ha mai rallentato. Ancora poco fa aveva riunito gli Stati Generali per puntare al Quirinale, l’ultimo smacco che non è riuscito. Era stato ancora Moretti a intervenire, postando una fotografia del set del Caimano: «Un personaggio così squalificato e indecoroso non può diventare Presidente della Repubblica».
Oggi in tanti si sono scoperti super partes, piovono analisi e catilinarie sui lasciti di una personalità che si è presa la scena con l’arroganza che solo il connubio tra ricchezza e scaltrezza sa produrre. Non ci uniamo al coro, fedeli al monito di qualcuno, che una volta ha scritto di odiare chi non parteggia. La nostra parte era quella degli avversari e le rimaniamo fedeli. Chi cerca l’eredità politica la può trovare a Palazzo Chigi o nei vari ministeri, per quella economica la lotta è appena cominciata.
Magari tra qualche anno, con la lucidità della distanza, si tornerà a parlare di Berlusconi al cinema. Se ne analizzerà il significato, si tireranno le somme di questa storpiatura che ha segnato inevitabilmente la seconda repubblica. Ci chiediamo, però, se ci sarà ancora un pubblico disposto a riflettere, a fare ammenda, a provare a capire. Perché, rubando le parole di un grande scrittore, sappiamo che l’abitudine allenta ogni precauzione e sfuma ogni orrore. Berlusconi ci ha abituato a pensarci clientela invece che popolo e i clienti, si sa, non si mettono in discussione.
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.
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