Fuori è inverno. Il lockdown di ieri rivisto oggi nel doc partecipato di Salvatores
In onda il 2 gennaio su Rai3 in prima serata (e disponibile su RaiPlay), “Fuori era primavera. Viaggio nell’Italia del lockdown” il doc (partecipato) di Gabriele Salvatores, raccolta delle testimonianze arrivate da tutta Italia durante il primo confinamento. Medici, studenti, lavoratori e, soprattutto, lo sguardo di un rider, a simbolo di una delle nuove frontiere dello sfruttamento del lavoro precario. Per lui confinamento o no, poco è cambiato. Presentato alla Festa del cinema di Roma …
In ottobre appena qualche ora prima di vedere Fuori era primavera, tutta Italia era tornata a vedere e ascoltare le parole del Presidente del Consiglio, trasmesse in teleconferenza su tutte le piattaforme del Paese. Il flashback è stato inevitabile per tutti, troppo simile la situazione a quei pranzi da lockdown davanti alla televisione, dove Giuseppe Conte spiegava l’andamento della pandemia e le nuove misure che si sarebbero adottate.
Proprio per questo non è retorico dire che vedere in queste circostanze il film di Gabriele Salvatores, composto dalle migliaia di testimonianze individuali inviate dagli stessi italiani e raccolte dal regista e montate dal suo team (Massimo Fiocchi e Chiara Griziotti), è stato qualcosa di potente. Vederlo in sala, oltretutto, con in petto la tristezza di saperla prossima a una chiusura a tempo indeterminato dal sapore di beffa. I cinema vuoti sono infatti tra le prime immagini che vengono mostrate, assieme ai campetti, alle scuole, ai teatri, tutti inanimati.
Salvatores non è nuovo a questo tipo di lavoro, già qualche anno fa si era lanciato nel montaggio di Italy in a day, un film che voleva raccontare la quotidianità italiana attraverso le testimonianze dirette delle persone. È chiaro però che questa volta il peso del racconto è totalmente diverso. Ci sono da raccontare terapie intensive, morti, carri dell’esercito stracolmi di bare e saperli dosare con i racconti più ordinari, di piccoli ritagli di normalità. Il pregio maggiore di Fuori era primavera è proprio questo: l’equilibrio. Nel coro indistinto di voci del lockdown, Salvatores riesce non solo ad evitare che una storia prevalga sulle altre, ma non dimentica nulla, dà spazio a tutto e tutti.
Parte da Wuhan, dai servizi televisivi che la raccontavano, ignari del contagio già in corso anche in Europa. Arriva in Italia con le immagini di una ragazza tornata a casa dalla Cina, una delle prime a mettersi in autoisolamento. Approda poi al momento definitivo: l’annuncio della chiusura e l’inizio della quarantena. Alle storie quotidiane di chi racconta la propria clausura, in un monolocale o su un’isola deserta, si affiancano i fatti di cronaca che sembravamo avere dimenticato, dalle rivolte nelle carceri alle tragedie nelle residenze sanitarie assistite. Le incursioni nel racconto da parte dei medici sono costanti, intervallate con tutto il resto, come lo erano gli annunci quotidiani del bollettino delle sei.
La scelta che fa la differenza, però, è affidarsi al racconto di una categoria che il confinamento l’ha vissuto “in prima linea”, senza per questo essere considerata eroica: i rider, i più deboli tra i precari. Dalle finestre delle case, le uniche cose che si vedevano passare la sera, oltre ad autobus vuoti e macchine della polizia, erano proprio i fattorini in bicicletta. Il racconto di un ragazzo milanese è il perno su cui la narrazione si muove nel saltare da una casa all’altra, i pochi soldi che riesce a racimolare a fronte della grande fatica, le banchine della metro piene di colleghi. Fino al 25 aprile, alla celebrazione della Resistenza, una parola che detta in bici sotto una mascherina suona più forte e incrollabile.
È difficile dire se Fuori era primavera può essere considerato un film per i posteri, un invito alla responsabilità, un monito su cosa potrebbe succedere ancora. Forse è tutto queste cose insieme o forse non ne è nessuna. Di certo è quello che abbiamo vissuto tutti, quello che tutti sappiamo già e quello che la mascherina sul nostro naso ci ricorda quotidianamente. Oggi fuori è autunno, primavera ed estate sono passate faticose come non mai. Uscendo dalla sala resta un dubbio inquieto: abbiamo appena finito di vedere il nostro passato o il nostro futuro?
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.
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