I dolori della giovane Fatima. “La petite dernière” tra religione e amori lesbo a Cannes
Passato in concorso a Cannes “La petite dernière” dell’attrice e regista magrebina Hafsia Herzi. A partire dal libro rivelazione di Fatima Dass (portato in Italia da Fandango) la storia di una ragazza lesbica ed osservante mussulmana. Il suo percorso di emancipazione, gli studi universitari ma soprattutto il conflitto tra religione e sessualità. Tanti stereotipi e nessuna emozione …
Il libro in Francia, alla sua uscita – era il 2020 – è subito diventato un caso. Les Inrokuptibles l’ha incoronato col premio letterario del Primo romanzo. Le monde l’ha messo nell’elenco dei migliori dell’anno. Isomma la macchina mediatica, quella che conta, s’era messa in moto.
La storia di quella giovanissima, una diciassettenne, la più piccola di tre sorelle di una famiglia di origini algerine, tra le tante che popolano le banlieues parigine, mussulmana osservante e lesbica, non poteva passare inosservata. Tanto più che non si trattava del solito conflitto tra genitori repressivi e figlia ribelle che finisce in tragedia. Qui papà e mamma sono pieni di attenzioni, amorevoli e la vita familiare è anche gioiosa nel rispetto reciproco di genitori e figlie.
Stiamo parlando de La petite dernière libro rivelazione dell’allora venticinquenne Fatima Dass (in Italia è arrivato nel 2021 per Fandango come La più piccola) arrivato agli onori del concorso di Cannes con la trasposizione firmata dalla star magrebina Hafsia Herzi, lanciata da Abdellatif Kechiche in Cous Cous e qui alla sua terza regia dopo Tu mérites un amour e Bonne mère. Entrambi i titoli legati alle radici e al vissuto della regista, con una madre colf nella Marsiglia più polare che ha cresciuto da sola i quattro figli.
Tanto vissuto personale è servito evidentemete a creare l’affresco d’ambiente. La relazione fra le tre sorelle, la cucina in cui la madre è la regina assoluta, mentre si scherza e si fanno battute tutte insieme, compreso il padre perennemente sul divano, ma comunque partecipe e bonario. Non è servito, invece, a schivare stereotipi, luoghi comuni e pruderie. Il sesso si racconta, non si vede. Meglio si ascolta: Fatima (l’esordiente Nadia Melliti) nella sua formazione lesbo usa le app d’incontri per farsi dire le “specialità” possibili: varietà di cunnilingus, “forbice” e il più classico e unisex 69. Sensualità nessuna, erotismo zero.
Dieci, invece, alla mascolinità da manuale della protagonista. Manesca (mette al tappeto un compagno che l’ha chiamata lesbica); perennemente in tuta da ginnastica col berretto in testa, brusca nei modi, appassionata di football a cui gioca fin da bambina. Brava a scuola, malata d’asma e pure fidanzata con un ragazzo che vuole sposarla al più presto, Fatima farà il suo percorso di emancipazione soprattutto una volta all’università. Ma senza mai dimenticare la religione. Quel burqa scuro che indossa quando prega è del resto l’unico abito “femminile” che le vediamo indosso.
Saranno le prime pene d’amore, l’infermiera coreana che prima la vuole e poi la molla per paura, a farla entrare in crisi con la religione. Dopo aver frequentato manifestazioni, club e feste arcobaleno per tutta Parigi. Forse quell’abbandono è una punizione di Allah, s’interroga smarrita la ragazza. l’Imam con le sue parole sibilline sull’omosessualità condannata senza appello dal Corano (meno severo su quella femminile perché non c’è penetrazione) ci metterà il carico finale. Le prime lacrime appariranno sul volto di Fatima, fin lì duro e severo.
La vita di Adele, fiammeggiante storia di una amore lesbico (dal fumetto Il blu è un colore caldo di Jul’ Maroh), nel 2013 consacrò Kechiche con la Palma d’oro e tanto scandalo. La petite dernière nel 2025 consacra Hafsia Herzi nel regno addomesticato del cinema mainstream.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.