Il padre che non c’è. Gianni Amelio dal cinema alla letteratura
Quell’adozione in Albania sul set de “Lamerica” diventata un romanzo molto autobiografico (“Padre quotidiano”, Mondadori). Quei padri che animano tutti i suoi film, fin dall’esordio sul terrorismo. E suo padre, invece, che è stato assente per tutta la vita. Gianni Amelio si racconta al pubblico del festival di Spilimbergo, “Le giornate della Luce” (9-17 giugno), e colpisce al cuore …
“Ho talmente poca fiducia nel futuro che faccio progetti per il passato”. Gianni Amelio si affida a Flaiano al termine del lungo incontro da protagonista alle “Giornate della luce”, il festival diretto da Gloria De Antoni e Donato Guerra che, a partire dai grandi direttori della fotografia, porta da quattro anni un po’ di buona cultura cinematografica in quel di Spilimbergo e dintorni (Friuli).
Eppure quel pessimismo carico d’ironia che il regista de La tenerezza prende in prestito dal grande scrittore pescarese è un chiaro antidoto al carico di sentimenti che, inaspettato, sciorina dal più profondo di fronte al pubblico – siamo nel magnifico teatro Arrigoni di S. Vito sul Tagliamento, in anticipo su “Pordenone legge” – venuto per ascoltare la presentazione del suo Padre quotidiano, in libreria per Mondadori da pochi mesi.
Sentimenti sì, carichi di umanità e sottili sfumature che svelano un Gianni Amelio inedito, intimo, divenuto padre grazie a quell’adozione di venticinque anni fa, nata sul set albanese de Lamerica e che in quest’ Italia omofoba e violenta gli è costata i pregiudizi, le battute volgari e gli attacchi frontali di quanti continuano a negare le ragioni delle famiglie arcobaleno e non solo.
“Fino ad oggi questo figlio è stato mio, da domani sarà tuo”. È da questa preghiera, la preghiera dolorosa di un padre, incontrato dal regista tra le tante comparse di quel film, il primo ad aver raccontato il grande esodo albanese, che è partita questa storia. Una storia di solidarietà a cui il regista calabrese ha risposto portando con sè in Italia questo ragazzino – accompagnato da padre e madre – che oggi è diventato adulto, genitore di due figli, ricercato professionista nel cinema e al quale Amelio – racconta – “vorrebbe tanto assomigliare umanamente”.
Per lui che suo padre l’ha visto scomparire da piccolissimo, portato via da un transatlantico diretto in Argentina, la paternità è sempre stata un po’ la sua ossessione. Diventando centrale nel suo cinema. Fin dall’esordio con Colpire al cuore (1983), in cui sullo sfondo del terrorismo c’è il conflitto tra un padre e un figlio. Come in Ladro di bambini (1992), dove è un “paterno” Enrico Lo Verso a cercare di offrire un po’ di felicità ai due sfortunati piccoli protagonisti. Paterno è anche il fratello maggiore di Così ridevamo (1998), fotografia da Leone d’oro, della Torino dell’immigrazione anni Cinquanta. La paternità difficile, con un figlio disabile, è quella narrata da Le chiavi di casa (2004), adattamento di Nati due volte di Giuseppe Pontiggia. Mentre dal romanzo di Ermanno Rea, La dismissione, ad emergere è la figura di un padre putativo, in cerca di salvaguardare gli operai cinesi di La stella che non c’è (2006). Oppure, apertamente, la ricerca del padre defunto ne Il primo uomo da Camus (2011) o quel padre che di mestiere fa il rimpiazzo nella commedia con Antonio Albanese, L’intrepido (2013), fino all’ultima, grandissima figura drammatica di genitore, cucita addosso ad un luminoso Renato Carpentieri ne La tenerezza (2017), dal romanzo di Lorenzo Marone, La tentazione di essere felici.
Eppure se qualcuno gli chiede se sta pensando di portare al cinema il suo romanzo, Padre quotidiano, Gianni Amelio è secco nel suo NO. Si sofferma piuttosto sulle differenze evidenti tra romanzo e film (“il primo racconta quello che non si vede, il secondo deve mostrare”), su come Senso di Boito e quello di Visconti siano “cose molto diverse” e su come il “romanzo deve avere l’ultima parola, mentre la sceneggiatura no”. Poi tornando su Padre quotidiano, ribadisce che troverebbe molto spiacevole l’ipotesi di portarlo al cinema. Anche perché su una paternità simile – conclude Amelio – c’è già un capolavoro: Il tesoro della Sierra Madre (nelle foto) di John Huston del 1948, a sua volta ispirato all’omonimo romanzo del misterioso B. Traven.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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