“Il Padrino- Parte II” torna in sala. Gloria e tonfi della saga (letteraria) più imitata al cinema

In occasione della nuova uscita in sala de “Il Padrino – Parte II” (per Adler Entertainment) proponiamo una rilettura della storica saga, partendo dalla riscrittura della Parte III del 2020. Francis Ford Coppola l’ha riscritto (cambiando inizio e finale) a cominciare dal titolo: “Mario Puzo’s The Godfather Coda: The Death of Michael Corleone” in omaggio al padre letterario del padrino dei padrini scomparso nel ’99. La nuova versione è disponibile in Italia con Universal Pictures Home Entertainment in dvd e Blu-ray (“Il Padrino Coda: La morte di Michael Corleone”) e intanto ripercorriamo storia, glorie e tonfi della storica saga, la più iconica ed imitata della storia del cinema (e della tv) …

Capita spesso di trovare poster di don Vito Corleone nei nascondigli dei boss mafiosi. Per non parlare dei ristoranti “Corleone” e delle pizzerie “Don Vito”, o di tutte le centinaia di prodotti che recano il logo del burattinaio e alludono più o meno velatamente ai film. Forse per giudicare la fama della saga di Francis Ford Coppola basterebbe considerare la quantità di citazioni e parodie che il cinema e la tv le hanno riservato.

O passare in rassegna l’infinità di emulatori, da Scorsese ai Soprano, per citare solo le vette di una serie interminabile di epigoni spesso di serie b. La saga de Il padrino ha saturato a tal punto l’immaginario collettivo che si rischia di dimenticare, o peggio, sottovalutare il perché. E così si può pensare di aver visto il film senza averlo mai visto, e ridersela di questo culto machista per una pellicola che celebra le gesta di una famiglia mafiosa. Ma è un errore, perché Il padrino è una tragedia greca. E non si scherza su Sofocle.

Ci sono tanti motivi per vedere o rivedere la saga. Il primo in ordine di tempo è il ritorno in sala della seconda parte della saga, ma anche il recente arrivo del director’s cut de Il padrino – Parte III. Coppola ha infatti deciso di rimaneggiare il montaggio dell’ultimo capitolo, nel tentativo  – per sua stessa ammissione – di dare “una conclusione più appropriata” alla trilogia dopo le aspre critiche che hanno accompagnato l’ultimo capitolo del ’90.

Sarà per l’inadeguatezza di Sofia Coppola (futura autrice nonché figlia del regista) nel ruolo di Mary, la secondogenita del protagonista, o più semplicemente perché è inferiore rispetto ai precedenti, ma il terzo film non ha fatto incetta di Oscar e incassi al botteghino come gli altri (I primi due “Padrini”, usciti nel ‘72 e ‘74, hanno collezionato nove Oscar e quasi un miliardo di dollari di incassi) e si è rivelato un parziale insuccesso.

Coppola ha quindi deciso di riproporlo in una nuova versione, scegliendo il titolo originariamente pensato per la conclusione: Mario Puzo’s The Godfather Coda: The Death of Michael Corleone. A cambiare è sostanzialmente il montaggio, con un nuovo inizio e riprese alternative di alcune scene. Ma soprattutto il finale, con il protagonista che, al contrario di quanto lasciato intendere dal nuovo titolo, non muore come nella prima versione, ma rimane in vita. 

Il nuovo titolo omaggia l’autore del romanzo da cui sono tratte le pellicole, nonché co-sceneggiatore dei 3 film, lo scrittore italo-americano Mario Puzo, scomparso nel ’99.

Puzo è salito alla ribalta nel ’69 con Il padrino, che si è rivelato un vero e proprio bestseller, con oltre 20 traduzioni e 21 milioni di copie vendute. Lo scrittore ha lavorato spesso per il cinema (oltre a due film della saga di Superman, con Coppola ha scritto anche Cotton Club. Con Cimino ha invece adattato Il Siciliano, tratto da un altro suo romanzo di successo ispirato al bandito Giuliano), anche se le sue opere hanno spesso attirato critiche rispetto alla mitizzazione della mafia. Critiche che poi hanno riguardato anche le trasposizioni cinematografiche, in particolare la saga de Il padrino.

Non si può dar del tutto torto ai critici. La saga segue infatti le vicende di una famiglia mafiosa, i Corleone, e dei suoi due padrini. Don Vito (Marlon Brando nel primo film, De Niro nella versione giovane del secondo film), immigrato siciliano in America, costruisce un impero criminale e diventa il più rispettato boss mafioso di New York. Ma è un boss vecchio stampo, il traffico di droga non gli piace, per questo cercano di farlo fuori. E qui entra in gioco suo figlio, Michael (Al Pacino), l’ultimogenito. Decorato di guerra, è l’unico che non sia invischiato negli affari di famiglia. Quando però si scatena la faida tra i Corleone e un clan rivale, Michael è costretto a sporcarsi le mani. E a diventare il nuovo padrino.

Il primo film, ambientato nel ‘45, segue le vicende che portano Michael ad essere coinvolto nel business di famiglia, e a sostituire Don Vito come boss. Il secondo invece ci mostra flashback dell’ascesa criminale di Don Vito nella New York degli anni ‘10, in parallelo ai tentativi di Michael di imporsi come uomo di potere a tutto tondo nella Las Vegas dei casinò degli anni ‘50. Il terzo film ci racconta invece di un Michael vecchio e debole, che cerca di scrollarsi di dosso l’immagine del mafioso attraverso opere filantropiche e affari apparentemente legali, ma che è costretto inevitabilmente a ricadere nelle vecchie abitudini, fino al passaggio di consegne con il nipote Vincent (Andy Garcia).

Detta così sembrerebbero gli ennesimi banali mafia movie. Ma i tre film non sono (solo) film di mafia: dietro l’impalcatura gangsteristica, Coppola ci presenta una tragedia greca: la storia di un uomo incapace di sottrarsi al proprio destino tragico; la storia di un figlio costretto a raccogliere l’eredità familiare e prendere il posto del padre.

Don Vito e Michael ci affascinano in quanto uomini di potere, ma le loro storie ci raccontano soprattutto di come la hybris porti alla rovina e alla distruzione di tutti gli affetti. Don Corleone muore dopo aver perso in un attentato il suo primogenito, l’erede del clan, Sonny (James Caan). Michael, e la nuova versione fa risaltare proprio questo aspetto, sopravvive a tutta la sua famiglia per finire in una sorta di inferno sulla terra, solo, disperato e pieno di sensi di colpa. Il loro è un destino tragico, e per quanto possa dilettarci la retorica dell’uomo forte, i film ci mostrano soprattutto la punizione divina.

Il vero motivo della loro fama sta nella capacità di raccontare archetipi universali e senza tempo, e questo va oltre le polemiche sull’immoralità dei personaggi o sulla rappresentazione esplicita della violenza (testa di cavallo mozzata vedasi). L’ambiguità dei protagonisti, in cui spesso convivono istinto alla sopraffazione e attaccamento alla famiglia, violenza e bontà d’animo, non è che il riflesso di una rappresentazione non manichea di bene e male, propria del contesto della New Hollywood.

I primi due Padrini sono il non plus ultra di questo straordinario periodo di rinnovamento (tra i ’60 e i ’70) del cinema americano: più che al classico prodotto hollywodiano somigliano ai coevi film d’autore europei. Pieni di sequenze magistrali, rivelano un virtuosismo di regia che pone Coppola tra i più grandi autori del cinema di tutti i tempi. Lanciando, 
inoltre, tutta una serie di interpreti che da quel momento in poi domineranno lo star system americano: da Marlon Brando, unica vera star ai tempi dell’uscita nelle sale, fino alle future celebrità Al Pacino, Robert De Niro, James Caan, Robert Duval. Senza dimenticare la colonna sonora firmata da Nino Rota, con un leitmotiv tra i più indimenticabili della storia del cinema.

Prima della visione di questa nuova riscrittura del terzo capitolo consigliamo vivamente di (ri)vedere tutta la saga de Il Padrino. Per scoprire ancora una volta quell’umanità raccontata senza filtri, inevitabilmente destinata alla tragedia. Che è poi quanto di meglio possa offrire il cinema.