Il super virus tra letteratura, cinema e video games. Da Boccaccio a “Resident Evil”

Tutto cominciò col “Decameron”, con quei dieci giovani che rifugiandosi fuori città per sfuggire alla peste, diventarono l’archetipo della narrazione fantastica: quello della pandemia su scala globale e del manipolo di uomini che tentano di sopravvivere. Da lì è nato un filone inesauribile che ancora oggi dalla letteratura al cinema, passando per il fumetto e il videogioco, viene costantemente alimentato attraverso ogni sorta di medium. Diventando virale ….

In principio fu la peste di Boccaccio.
Come Dante prima di lui e Ariosto, dopo, attingendo alla tragica realtà del suo tempo, Giovanni Boccaccio creò per il suo Decameron un archetipo della narrazione fantastica: quello della pandemia su scala globale e del manipolo di uomini che tentano disperatamente di sopravvivere.

La peste che spazzò via come un vento fetido e mefitico intere città e popolazioni europee, nel 1348, fece da innesco e da sfondo alla celebre vicenda delle cento novelle che i dieci giovani tra fanciulle e ragazzi inventarono per ingannare il tempo all’interno della villa nella campagna fiorentina in cui avevano trovato rifugio.

Ma l’immortale componimento di questo peso massimo dell’Umanesimo che avrebbe segnato la strada del Rinascimento, andò oltre le intenzioni del suo creatore, generando un filone inesauribile che ancora oggi dalla letteratura al cinema, passando per il fumetto, viene costantemente alimentato attraverso ogni sorta di medium.

Ogni società ha le infezioni che si porta dentro. Specchio tanto insano quanto deforme delle fragilità insite nelle stesse fondamenta  su cui si eleva. E la peste, come fatto o come metafora ha tenuto banco per secoli. Come ci racconta mirabilmente Edgar Allan Poe ne La maschera della morte rossa, inquietante fiaba gotica del 1842. Anche qui ci troviamo in una fortificazione. E per esorcizzare l’angoscia del contagio ci si abbandona al divertimento: un gigantesco, trascinante, sfarzosissimo ballo in maschera. Ma si è mai veramente al sicuro?

Per Alessandro Manzoni che fu assieme a Giacomo Leopardi la penna più luminosa di tutto il Risorgimento italiano, la peste è concepita come una punizione della Provvidenza che si abbatte, in quello straordinario affresco allegorico (Manzoni ambientò prudentemente la vicenda nel ‘600) dei moti rivoluzionari che è I promessi sposi, sui nemici del futuro Regno d’Italia.

Il Novecento, il secolo breve in cui l’uomo addomesitcando la fisica e la chimica affina l’arte del genocidio, si apre con uno straordinario caso di letteratura distopica e per certi versi, d’anticipazione. A firmarlo è Jack London, universalmente noto per grandi classici dell’avventura western come Zanna bianca e Il richiamo della foresta.

Eppure del carattere romantico ed intrepido di questi capolavori ne La peste scarlatta (1912) non v’è alcuna traccia. L’azione si svolge nel 2013 e una pandemia su scala planetaria ha prodotto montagne di cadaveri e ha fatto sprofondare gli Stati Uniti in una sorta di nuovo Medioevo.

Sul piano storiografico questo racconto è l’anno zero della letteratura di fantascienza post apocalittica. Quando la causa della fine del mondo non è un conflitto termonucleare o un meteorite o un altro cataclisma, l’uomo viene sistematicamente estinto da un virus. O dai mostruosi effetti da esso generati. Come gli zombie.

Il caso più emblematico è Io sono Leggenda, romanzo paradigma di Richard Matheson dalle molteplici esistenze – il che visto il tema ha del miracoloso –, nel quale la fantascienza, canonico territorio d’elezione ibridato con l’horror, si sviluppa in un riuscitissimo crescendo di paranoia, suspance e tensione.

Molteplici esistenze, si diceva, e già, perché dal 1962 in avanti, Io sono leggenda avrebbe conosciuto ben tre adattamenti cinematografici oltre ad un numero imprecisato di epigoni, copie e imitazioni più o meno riuscite. Superlative le prime due, scarsamente convincente la terza.

Nel 1963 è Ubaldo B. Ragona a dirigerne la versione per il grande schermo. Il film, grazie anche allo stesso Matheson che ne firma la sceneggiatura con lo pseudonimo di Logan Swanson è un gioiello di distopica e allucinata bellezza. Gli esterni all’E.U.R. enfatizzano l’effetto straniante e l’interpretazione di Vincent Price nel ruolo del dott. Bob Morgan, l’ultimo umano afflitto dalla sindrome d’accerchiamento a cui orde di vampiri-zombie danno la caccia, è strugente.

Seguirà 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra, con Charlton Heston. Ineguagliabile dandy con foulard, spider e carabina assediato da mutanti fotofobici. Al passo coi tempi, gli anni Duemila ne propongono una rilettura minimal, cupa ma non angosciante, drammatica ma non tragica con mutanti tanto agguerriti quanto insignificanti.

L’Ultimo uomo sulla Terra di Ragona uscì in America – per l’edizione a stelle e strisce il regista adottò lo pseudonimo di Sidney Salkow – e verosimilmente fu visto, ammirato e metabolizzato da George Romero. Come appare plasticamente nel recupero delle sequenze dell’assalto alla casa di Morgan con le braccia degli assalitori che strappano via assi protettive, paramenti, imposte serrate.

Al di là delle riletture ed etichette politiche affibiate al padre degli zombie moderni, il film si distingue per l’espressionismo feroce delle creature antropofage e per l’introduzione del virus a sfavore del folcloristico voodoo. Sono gli anni della contestazione giovanile, del Vietnam e del successivo scandalo Watergate, la fiducia nelle istituzioni americane è ai minimi storici, Romero intuendo che quella della cospirazione governativa è una buona carta, rilancia con La città verrà distrutta all’alba. Una violenza inaudita si fa largo tra gli abitanti di una tranquilla cittadina di provincia mano a mano che il contagio si diffonde. Mentre l’esercito presidia tutta l’area, l’escalation deflagra…

La fantapolitica, l’action, il thriller e il genere catastrofico sono altri ingredienti cineamtograficamente vincenti da miscelare con la pandemia. Nel 1976 Carlo Ponti chiama George Pan Cosmatos (Rambo 2; Tombstone) a dirigere Cassandra Crossing (nelle foto). Due terroristi irrompono in una base segreta Usa dove si sperimenta un virus. Ne rimangono contagiati. Prendendo in ostaggio un intero treno si danno alla fuga ma le autorità sono disposte a tutto pur di scongiuare una catastrofe e insabbiare cose c’è sotto. Una corsa mozzafiato contro il tempo per un film solido con cast stellare che include Richard Harris, Sophia Loren, Burt Lancaster, Martin Sheen.

Un anno prima, è il 1975, in Inghilterra viene varata la serie I sopravvissuti. Una pandemia ha polverizzato quasi quattro miliardi di esseri umani, solo l’uno per cento si è salvato. I sopravvisuti riuniti in sparute comunità dovranno imparare a sopravvivere.

A partire dagli anni Novanta, il genere trova ulteriore propellente creativo nei videogiochi, in particolare in Resident Evil, fortunatissimo  survival horror della Capcom che al di là di uno sforzo di fantasia non particolarmente vistoso, si afferma come un successo planetario. La trama è la seguente: nel sottosuolo di Raccoon City, un’immaginaria metropoli americana, è dislocato l'”Alveare”: un complesso sotterraneo segretissimo di laboratori, che fa capo alla tentacolare  Umbrella Corporation – multinazionale del settore farmaceutico  -.  Gestito dalla “Regina Rossa”, un  supercomputer dotato di un’alta intelligenza artificiale, il centro è impiegato per ricerche sull’ ingegneria genetica, armi chimiche e batteriologiche. Resident Evil sarà crossmediaticamente declinato anche in una serie di film interpretati da Milla Jovovich.

Nel 2003 fa invece il suo esordio nelle edicole americane il fumetto, The Walking Dead. L’ambientazione è, neppure a farlo apposta, la sterminata provincia americana, dove lo sceriffo Rick Grimes, appena uscito dal coma, scoprirà che la vita è un incubo antropofago ad occhi aperti, proliferato dal solito immancabile virus sfuggito al controllo. Inevitabile la trasposizione in una serie tv altamente virale.

Sull’asse letteratura-cinema si sviluppa invece la fortuna di World War Z. All’origine vi è infatti il romanzo del 2008 scritto da Max Brooks, a cui Marc Foster ha attinto per il bel film con Brad Pitt come protagonista. La pandemia colpisce la popolazione dell’intera Terra, i pochi sopravvissuti vivono in fortificazioni ma nulla è impenetrabile… i contagiati diventano zombie super veloci, non dissimili da quelli messi in scena da Danny Boyle in 28 giorni dopo. Tanto è il periodo d’icubazione…

Mentre una transazione illegale tra trafficanti di agenti chimici e l’esercito degli Stati Uniti è l’innesco di Planet Terror: inguardabile ed insignificante fanmovies splatter-catastrofico,  ad altissimo livello di pretenziosità ed utocompiacimento di Robert Rodriguez.

Sempre l’esercito è invece al centro delle vicenda di ben altra pasta, raccontata in Virus Letale. Colossal che vede impegnati Dustin Hoffman, Irene Russo, Morgan Freeman nel disperato tentativo di contenere la diffusione di un virus più letale, appunto, dello stesso Ebola.

“Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di Fiorenza, oltre a ogn’altra italica bellissima, pervenne la mortifera pestilenza: la quale, per operazion de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle d’inumerabile quantità de’ viventi avendo private, senza ristare d’un luogo in uno altro continuandosi, verso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata…”.

Dal Decamerone di Boccaccio, ma sembra una cronaca di questi giorni.


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