Il talento di un fantasista irriverente. Renato Carosone (torna) su Rai1
In onda il 18 marzo in prima serata su Rai1, “Carosello Carosone” biopic tv di Lucio Pellegrini, scritto da Giordano Meacci e Francesca Serafini a partire dal libro “Carosonissimo” di Federico Vacalebre (Arcana Editore). A cent’anni dalla nascita e a venti dalla morte la Rai rende omaggio al talento del celebre musicista napoletano le cui canzoni – da “Tu vuò fà l’americano” a “O’Sarracino” – sono diventati classici intramontabili. Nei panni di Renato Carosone è Eduardo Scarpetta e le musiche sono curate da Stefano Bollani …
Conosci il tuo talento e seguilo. E Renato Carosone lo ha fatto, andandogli appresso, per strade lontane dalla sua Napoli, tra l’Africa Orientale, Roma, Milano, New York. Esibendolo, quel talento, di fronte al pubblico di piccoli locali, di night alla moda, di teatri prestigiosi come la Carnegie Hall, della televisione nascente.
E la Rai gli rende omaggio – a cent’anni dalla nascita e a venti dalla morte – con il film Carosello Carosone, per la regia di Lucio Pellegrini, scritto da Giordano Meacci e Francesca Serafini, prodotto da Groenlandia (Matteo Rovere e Sidney Sibilia) in collaborazione con RaiFiction, tratto dal libro Carosonissimo di Federico Vacalebre (Arcana Editore). Lo si vedrà in prima visione su Rai1, giovedì 18 marzo 2021, ore 21.25.
Un biopic che si aggiunge ai tanti sfornati da mamma Rai in una sorta di Festival di Sanremo parallelo che ha riportato sul palco televisivo Domenico Modugno, Mia Martini, Fabrizio De André, Rino Gaetano, Nada con il recente La bambina che non voleva cantare di Costanza Quatriglio e adesso Renato Carosone.
Carosello Carosone (il nome è lo stesso della serie dei sette album che ne raccolsero i successi discografici) segue l’ascesa al successo del musicista (Napoli 1920 – Roma 2001). Dal diploma in pianoforte, ottenuto a 17 anni presso il Conservatorio di San Pietro a Majella, all’ingaggio in una piccola compagnia di arte varia che lo porterà in Africa Orientale, tra Addis Abeba, Massaua e Asmara.
Spettacolini con ballerine e numeri musicali per i camionisti italiani: quasi tutti del Nord che poco apprezzarono il repertorio napoletano di Carosone. Così la compagnia durò poco e l’impresario se ne tornò in Italia. Rimasero Carosone e le ballerine, tra le quali la veneziana Italia Levidi, detta Lita, che in quattro e quattr’otto, diventò sua moglie (si sposarono a Massaua il 2 gennaio del 1938).
Ci rimase a lungo, in Africa, Carosone, anche perché nel 1940, allo scoppio della Seconda Guerra mondiale, fu chiamato alle armi e finì al fronte nella Somalia italiana. In Italia ci tornerà soltanto a guerra finita, nel 1946.
Negli anni che seguono, tra Napoli e Roma con il suo trio – assieme a lui ci sono il chitarrista olandese Peter Van Wood (un’altra gloria della musica che meriterebbe una fiction tutta per lui) e il batterista napoletano Gegè Di Giacomo – Carosone segue e cura il suo talento e costruisce la sua popolarità inventando una propria cifra originale.
Prende brani e canzoni note e le trasforma in fantasie musicali dalle inedite vesti sonore. Renato improvvisa con straordinaria tecnica pianistica, Peter svisa con la chitarra elettrica (fu tra i primi a usare pedali e distorsori) e Gegè impazza con le sue bacchette percuotendo di tutto.
Non passa inosservato, Renato Carosone, e così si fanno avanti discografici e funzionari televisivi. La Rai, ovviamente, che lo porta in diretta per la prima volta sul piccolo schermo nel programma L’orchestra delle quindici, proprio il giorno del debutto della tv in Italia: il 3 gennaio 1954.
La versione che Carosone fa in quell’occasione di E la barca tornò sola (canzone presentata al Sanremo di quell’anno, fosca narrazione dei pescatori morti in mare), viene trasformata in una parodia dai toni comici e irriverenti. Con Gegè di Giacomo che fa da coro al lamentoso refrain «… e la barca tornò sola» con un irriverente e ripetuto «e a me che me ne importa…»; e il «mare crudele, mare crudele» della canzone che viene sonorizzato da un gargarismo del cantante.
C’è in quella canzone e nelle tante altre, notissime – Tu vuò fà l’americano, Torero, Pigliate ‘na pastiglia, Caravan Petrol, O’Sarracino – una lunga tradizione che mette insieme vaudeville, varietà, cabaret e la reinventa in una forma di sketch comico-canoro sostenuto musicalmente da suggestioni africane, swing, blues e radici napoletane. E che inscena un teatrino con tanto di costumi e gadget (come le mollette messe sul naso per simulare le vocine). Un mix assolutamente coinvolgente e capace di piacere a pubblici diversi, che porterà Carosone con lunghe tournée in giro per l’Europa e nelle Americhe, mentre le sue canzoni diventeranno hit nelle classifiche discografiche.
Il film di Lucio Pellegrini racconta questo e molto altro: il lato pubblico e dunque la carriera e il successo, fino all’abbandono improvviso dalle scene, quando Carosone era al culmine della carriera, nel 1959 (ma poi rientrerà nel 1975), annunciato in diretta tv durante la trasmissione Serata di gala. Ma anche il privato: nel film tv c’è un piccolo scoop e viene rivelato per la prima volta che il figlio Pino non è suo ma che fu avuto dalla moglie Lita prima del loro incontro.
Bravi e azzeccati gli attori (anche a cantare): da Eduardo Scarpetta (Renato Carosone) a Vincenzo Nemolato (uno straordinario Gegè di Giacomo) a Ludovica Martino (Lita). Girato tra Napoli e Roma nell’ottobre scorso, tra le mille difficoltà e i limiti imposti dalla pandemia ai quali suppliscono le postproduzioni in digitale.
Carosello Carosone si fa apprezzare anche per le accurate e leccate ricostruzioni di sfondi, arredi e costumi d’antan. E poi ci sono le musiche, quelle di Carosone ovviamente, ma curate (fedelmente alle partiture) da Stefano Bollani che, grande pianista e fantasista musicale come lo era Renato Carosone, ci ha aggiunto del suo.
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