In morte di Jean-Marie Straub che col cinema (il marxismo e la letteratura) voleva cambiare il mondo
Con la morte di Jean-Marie Straub, avvenuta il 19 novembre all’età di 89 anni a Rolle, Svizzera, si chiude, forse definitivamente, la stagione che ha reso cinema e visione politica due sinonimi, non a caso passando soprattutto dalla letteratura. Impegnato, anticoformista, intransigente, marxista, radicale, antimilitarista Jean-Marie Straub con Danièle Huillet, sua moglie e compagna per tutta la vita, ha tracciato un percorso attraverso l’Europa e la sua cultura, insistendo sulle contraddizioni e impastandole con la necessità di un orizzonte politico…
Esistono lodevoli eccezioni, la prima che salta alla mente è Ken Loach, ma nel leggere della morte di Jean-Marie Straub – avvenuta all’età di 89 anni a Rolle, Svizzera – oltre all’ovvia tristezza, la sensazione è che sia definitivamente scomparsa una generazione che era riuscita nell’impresa di fare della politica un modo di far cinema e viceversa. «Per me il marxismo è un metodo», era la formula portentosa che aveva usato a suo tempo proprio Straub.
Con Danièle Huillet, sua moglie e compagna per tutta la vita, ha tracciato un percorso attraverso l’Europa e la sua cultura, insistendo sulle contraddizioni e impastandole con la necessità di un orizzonte politico. Vittorini(Sicilia!, 1999, Operai, contadini, 2001), Pavese (Dalla Nube alla Resistenza del 1979 e Il ginocchio di Artemide del 2007), Fortini (Fortini/Cani, 1976) Böll (Non riconciliati, 1965), Kafka (Rapporti di classe, 1984 nelle foto), sono i grandi autori a cui si sono liberamente ispirati. Brecht, soprattutto, per quella vecchia idea che il pubblico non andasse illuso (Antigone, 1991 e Corneille-Brecht, 2009).
Il rapporto col pubblico è quello che davvero segna in maniera abissale lo scarto tra la generazione di Straub-Huillet (così li avevano sempre chiamati, perché parlare dell’uno senza l’altra sarebbe stato come vedere i loro film con un occhio solo) e tutto quel che è venuto prima, ma anche dopo. L’idea che le persone andassero coinvolte e rese coscientemente partecipi del film, questo era alla base di tutto quel movimento. Un modo di vedere il cinema maturato all’ombra di Renoir e di Bresson – di cui è stato assistente alla regia – e cresciuto in maniera scomposta, ogni ramo a cercare una direzione diversa senza rinnegare le radici.
Il più imprescindibile di questi rami, Jean-Luc Godard, ha scelto di morire poco tempo fa, a riprova che quel gruppo col mondo attuale non voleva aver più nulla a che fare. Erano amici, con Straub-Huillet, e forse non è poi un caso se i paesini svizzeri in cui sono morti si affacciano sullo stesso lago.
Quel che ci mancherà, per dirla in poche parole, è l’idea che il cinema sia una cosa seria. Non un divertissement da guardare distrattamente mentre si cena, non una macchina da soldi per CEO senza troppi scrupoli. Il cinema può essere qualcosa a cui consacrare una vita, ossia un amore, un modo di stare al mondo, un modo di pensare gli altri.
Huillet, per dire, non venne accettata all’Institut des Hautes Études Cinématographiques perché quando le venne richiesto di analizzare un film di Allégret si rifiutò, giudicandolo indegno. Straub iniziò a fare film in Germania, fuggendo dall’arruolamento che lo avrebbe portato a uccidere nella guerra d’Algeria. Entrambi, insomma, non si piegarono alla storia per fare film, ma cercarono di cambiarla attraverso i film.
Non è il caso di lasciarsi andare a un requiem o a una disamina di quanto l’orizzonte cinematografico mondiale sia povero. Glorificare il passato non serve a nulla, se non ad alzare bianca sul presente. I film di Straub-Huillet sono ancora alla mercé di ogni cinefilo. Ma la loro stagione, quella sì, si è chiusa. Quel che non dobbiamo dimenticare è che le stagioni ritornano.
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.
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