La favola neorealista di Salvatores regalata da Fellini. Arriva in sala “Napoli-New York”
In sala dal 21 dicembre (per 01 Distribution) “Napoli-New York”, nuovo film di Gabriele Salvatores da un trattamento di Federico Fellini e Tullio Pinelli rimasto a lungo nel cassetto. Una favola neorealista, ironica, musicale e carica di sentimenti. Due scugnizzi napoletani alla volta di New York per sfuggire alla povertà dell’immediato dopoguerra. Due veri talenti i piccoli interpreti: Dea Lazzaro e Antonio Guerra. Una vera favola di Natale …
Il trattamento è rimasto nel cassetto per oltre sessant’anni. Federico Fellini (con l’inseparabile amico Tullio Pinelli) l’aveva scritto nella seconda metà dei Quaranta, quando ancora non era regista, ma vignettista satirico e sceneggiatore. C’è la sua firma, per esempio, nella scrittura di due capolavori del Neorealismo come Roma città aperta e Paisà.
E non poco Neorealismo, infatti, c’è in questo Napoli-New York (la sceneggiatura è pubblicata da Marsilio, a cura di Augusto Sainati a cui lo stesso Pinelli affidò nel 2005 molti suoi scritti) anche se risuona ben più dell’accoppiata De Sica-Zavattini che del mondo onirico del Fellini che verrà.
Gabriele Salvatores chiamato a farne un film (dai produttori Isabella Cocuzza e Arturo Paglia) dopo tutti questi anni, al Neorealismo, anzi espressamente al Rossellini di Paisà, rende esplicito omaggio. Che tenerezza far vedere il film nel cinema di New York ai due scugnizzi protagonisti, pronti a riconoscere i loro amici tra i volti dell’episodio napoletano.
È il Salvatores touch. L’eperienza con i ragazzi invisibili, il viaggio, la marginalità e la solidarietà anche e soprattutto. A raccontare, meglio a ricordare, quando gli emigrati “che puzzano” eravamo noi, che eravano noi quelli che non potevano entrare nei bar. Che gli italiani che oggi vogliono chiudere i confini e i porti, hanno avuto i nonni, o bisnonni che a “Lamerica” ci sono arrivati in terza classe, vendendosi tutto per il biglietto o, peggio, non arrivandoci proprio, sopraffatti dalla malattia in quei dormitori sudici sotto la pancia dei transatlantici.
È su quella nave che si sono imbarcati clandestini Celestina e Carmine i due irresistibili scugnizzi napoletani, orfani e senza casa, sopravvissuti ai bombardamenti e alla fame della guerra appena finita. E loro è il sogno – Felliniano – di un’America sconosciuta e piena di fortuna, dove la statua della Libertà è una madonna senza bambinello in braccio, ma anche dove i neri vivono le angherie della segregazione. E questo è l’occhio di Salvatores.
Nessuno piange, nonostante le disgrazie. Soprattutto si sorride. E i due ragazzini (due veri talenti: Dea Lazzaro e Antonio Guerra) tengono la giusta cazzimma (come si dice a Napoli) per rivendicare l’orgoglio scugnizzo di volersi fare strada da soli anche tra le vie di New York. Meglio di Little Italy. Cartelloni pubblicitari, affollatissimi marciapiedi (e dettagli di scarpe sgargianti) e gli sguardi minacciosi dei mafiosi fuori dai bar, più la musica di carattere (dai canti della Nuova compagnia popolare a Tom Waits) compongono un bel mix di suggestioni e linguaggi, dove anche il fumetto trova il suo spazio.
C’è pure la solidarietà delle donne e le grandi manifestazioni. Nel caso specifico per salvare dalla pena di morte la sorella di Celestina che ha piantato una pallottola in fronte al soldato americano che l’ha sedotta e abbandonata. Il riferimento – politico – è alla prima donna condannata a morte negli States che era un’italiana. L’arringa letta allora dall’accusa – e qui riportata nel dettaglio – è un’ode al razzismo più feroce, di cui Trump è l’incarnazione.
E funziona anche Pierfrancesco Favino, nuovamente nei panni di un comandante buono, ma qui (non come quello di Edoardo De Angelis) ironico e gigione, che, da mancato padre, sceglie di aiutare Celestina e Carmine.
La favola di Natale, insomma, è servita. Andarla a vedere può essere un buon modo di festeggiarlo.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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