La ragazza adesso è nel labirinto. Donato Carrisi fa il bis alla regia col Minotauro in chiave thriller
In sala dal 30 ottobre (con Medusa), “L’uomo del labirinto” nuova incursione nella regia del popolare giallista Donato Carrisi che porta al cinema il suo omonimo libro dopo i successi de “La ragazza nella nebbia”. Un thriller di genere e molto solido che gioca sui labirinti fisici e mentali col Minotauro che rapisce la ragazza e due Teseo in suo aiuto, due grandi interpreti come Dustin Hoffman e Toni Servillo …
In principio fu il Minotauro. Il Mostro archetipo chiuso nel palazzo di Cnosso, in un labirinto, che si ciba di vergini annualmente offerte alla sua ira funesta. Da allora in poi, nella storia umana, nell’immaginario collettivo si è tramandato lo schema di un triangolo rimasto sempre lo stesso: il mostro, il labirinto, la vittima.
Con la variante però, che ogni volta ha determinato la diversa fine della storia: Teseo, l’Eroe che deve entrare nel labirinto, uccidere il Mostro e salvare la pulzella. Ecco la trama di un buon thriller, sempre capace di appassionare lettori e spettatori: riuscirà l’eroe di turno a salvare la sventurata?
Ma si fa presto a dire labirinto. Perché ci sono i labirinti fisici, che siano tetri e pesanti in pietre come a Creta o falsamente leggiadri costruiti con le piante di bosso nei rinascimentali giardini all’italiana. Il risultato non cambia, chi entra vi si perde, gira a vuoto, smarrisce l’orientamento e, mentre cresce l’angoscia del malcapitato che ne è prigioniero, l’uscita diventa (per lui/per lei) irraggiungibile.
Ma ci sono anche i labirinti della mente, nei quali la ragione si perde, ove il vero e il falso giocano a nascondino, il tempo non esiste, il buio e la luce si alternano senza sosta, il sogno e la realtà si mischiano e tutto diventa una giostra che gira sempre più vorticosamente.
In questi labirinti, fisici e mentali, ci porta il secondo e ultimo film di Donato Carrisi intitolato appunto, L’uomo del labirinto in uscita il 30 ottobre. Un thriller di genere, solido, appassionante che l’autore, senza falsa modestia, inserisce in un filone che annovera titoli come Il silenzio degli innocenti, Seven nonché il suo film precedente, La ragazza nella nebbia che gli è valso il David di Donatello come miglior regista esordiente.
Del film, distribuito da Medusa e prodotto sempre da Medusa con Colorado film, Carrisi è, oltre che regista, anche sceneggiatore nonché soggettista, visto che il film è tratto dal suo omonimo romanzo. Col che viene meno ogni discussione, altrimenti sempre in agguato, se il film sia o non sia fedele al libro.
Come avrete capito c’è la ragazza rapita, Samantha Andretti, (una convincente Valentina Bellé) c’è il labirinto – meglio dire i labirinti – (claustrofobici e agghiaccianti) c’è il mostro che l’ha rapita e tenuta prigioniera, e c’è Teseo. Che però nel nostro caso sono due. Teseo psicologo, (tecnicamente il profiler) il dott Green, (nientepopodimeno che il grande Dustin Hoffman e più non dimandare) che indaga “dentro” la mente della ragazza, miracolosamente liberatasi e ricoverata in ospedale, e l’investigatore privato, Bruno Genko, (Toni Servillo in una interpretazione superlativa da par suo) che indaga “fuori” per trovarla. Siccome è veramente un thriller avvincente non diciamo una parola di più. Se non che il finale, siamo sicuri, col suo inatteso colpo di scena, vi colpirà come un pugno in faccia.
Carrisi del resto, nel genere, è un vero campione. I suoi romanzi sono stati tradotti in Germania, Francia, Gran Bretagna, Usa, Cina, e sono stati tutti best seller. Dal primo, Il suggeritore per poi proseguire col Tribunale delle anime, La donna dei fiori di carta, Il cacciatore del buio, e ancora La ragazza nella nebbia (trasformato nel suo primo film fortunato), Il maestro delle ombre fino appunto a questo Uomo del labirinto. E in ognuno di questi Carrisi è sempre riuscito a sfornare continue invenzioni che tengono col fiato sospeso e colpiscono per l’originalità.
Nel nostro caso il fatto che l’investigatore privato è tutto meno che un Eroe. Ed è talmente antieroe da essere letteralmente morto. Nel senso che soffre di una infezione al miocardio che avrebbe già dovuto portarlo alla morte proprio nei giorni nei quali si mette in moto per dare la caccia a un singolare mostro con la faccia da coniglio.
Non a caso il clima mortuario accompagna Genko lungo tutta la sua indagine. La città senza nome e senza tempo dove si svolge l’azione è cadente, opprimente, anonima, triste. Circondata da paludi purulente e da un terribile incendio che ne minaccia le periferie, come nella California dei giorni nostri.
I personaggi sono tutti estremi, e anche quando sono positivi, come Genko, hanno la barba lunga, il sudore che scorre sul viso, il fetore dei corpi accaldati che esce dallo schermo. Per non parlare di quelli negativi, congelati nella mostruosità dei volti e delle situazioni ributtanti, vedi le formiche che passeggiano sul cuscino sporco di un letto di ospedale, che nemmeno negli incubi della peggio malasanità di alcuni nostri ospedali.
Il tutto filmato magistralmente con colori cupi che contribuiscono a creare una atmosfera da tragedia: un rosso senza speranza per gli esterni, un grigio funereo per l’interno del labirinto.
C’è un ambiente soprattutto che toglie davvero il fato. Un luogo, all’interno dei locali della polizia, nella sezione che si occupa delle persone scomparse, chiamato il Limbo, tale e quale alle cappelle dei cimiteri. Scaffali da terra al soffitto, su tutte le pareti, occupati da una serie ininterrotta di scatole, impilate, una accanto all’altra, come le colombaie appunto dei cimiteri di massa, ognuna con la foto di una persona scomparsa di cui non si hanno più notizie.
Sono nella stragrande maggioranza bambini, dispersi nel nulla, che reclamano la verità sulla loro sorte, una verità che purtroppo non sarà quasi mai trovata. Per sapere quella di Samantha non c’è che da andare a vederla al cinema.
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