La rapina del giovane Stanley… che fece scuola
Sono passati 60 anni da quando uno sbarbatello di 28 anni di nome Stanley Kubrick portò sul grande schermo “Rapina a mano armata” (1956), dal romanzo di Lionel White. Da allora quei “soliti ignoti” sono stati i più copiati del genere…
Aspiranti rapinatori, prima schiacciati dalla vita e poi della fatalità. Per loro il destino riversa solo sconfitte.
Una rapina “a mano armata” che deve risolvere molte, troppe cose: i problemi di un poliziotto indebitato fino al collo, le frustrazioni di un marito disprezzato dalla moglie, il bisogno di denaro di un barista, i desideri di un vecchio allibratore.
Sono tutti incensurati, i nostri “inesperti”, apprendisti “soliti ignoti”. Tranne il regista del piano, una rapina all’ippodromo da due milioni di dollari, ossia Clay (lo straordinario Sterling Hayden), criminale incallito, più per condizione che per vocazione, appena uscito di carcere. Solo lui conosce, perché le ha studiate nei dettagli, tutte le parti del piano: ognuno degli altri componenti della banda si limita invece al proprio copione.
Il piccolo/grande capolavoro dell’allor “giovane regista” Stanley Kubrick, ispirazione per Tarantino (Le iene) e tanti altri (Peter Bogdanovich), fa i 60 anni, ma è un arzillo vecchietto, magari un vecchietto da “cineteca”, ma ancora capace di intrigare col suo racconto e di avere il fiato necessario per stare dietro a tutta l’avviluppata trama.
Tratto da un romanzo (Clean Break) di Lionel White, giornalista di nera passato a romanzi gialli che hanno dato spunto a diversi film, tra cui La trappola mortale con Glenn Ford, e Pierrot le fou di Godard, il film ha nel ritmo e nel rispetto dei canoni del genere i suoi punti di forza.
I dialoghi, dello stesso Kubrick aiutato da un altro noto romanziere noir, Jim Thompson, sono “appropriati”; fluviali quando serve, asciutti e addirittura nulli quando deve prevalere l’azione.
Il film è un racconto sincopato, nel quale le tessere del mosaico, le storie soggettive di ogni personaggio, si incastrano le une con le altre, via via, dando modo allo spettatore di conoscere, solo alla fine, con tutto il mosaico terminato, l’interezza del “piano”.
Una modalità avvincente, nuova per l’epoca, direttamente ricalcata dalla struttura del romanzo di Lionel White (forse a sua volta ispirata da un certo sperimentalismo narrativo che andava prendendo corpo), assistita da una voce narrante e dalle musiche solo un poco raggelanti e molto jazz di Gerald Fried, prolifico autore di colonne sonore, partner abituale del Kubrick di quegli anni.
Il continuo cambiamento di “punto di vista”, che offre sequenze da ricomporre poi, come per gioco, costituisce un traino formale ed una sfida formidabile.
La “raccogliticcia” banda, nonostante il successo del piano, frana sotto le sue stesse quotidiane, familiari, incapacità; per inesperienza, perché nessuno di loro sa avere realmente a che fare con il “male”. Finisce in carneficina; un’improvvisa implosione che coinvolge tutti, tranne Clay, il cervello, l’unico avvezzo ed “autorizzato”, per casta e curriculum, a trafficare con cose losche.
Una valigia enorme, da far passare come “bagaglio da cabina”, farà però calare anche su Clay il peso della sorte avversa. Il diavolo sta nei dettagli (o nei “bagagli”). La valigia non ottiene il permesso dei rigidi assistenti della linea aerea e così le banconote di cui è zeppa finiranno, in una delle scene più note e metaforiche che vi siano, rovesciate sulla pista dell’aeroporto, per poi essere spazzate via dai potenti reattori di un aereo.
Scoperto, Clay si rassegna: “Dobbiamo scappare!”, gli propone la sua compagna. Clay: “No. A che vale, ormai…?”. O, come recita l’originale: “Yeah… What’s the difference?”.
Non si scappa da se stessi. Non ci si ribella a ciò che si è. Il fato ha già scritto ogni singola riga della mesta biografia di Clay. Nessuna scorciatoia per il riscatto. Se un riscatto esiste.
Il territorio del noir è popolato di uomini e donne senza passato, e soprattutto senza futuro…
Enzo Lavagnini
Regista, sceneggiatore, produttore e critico cinematografico. Suoi i documentari: "Un uomo fioriva" su Pasolini e "Film/Intervista a Paolo Volponi". Ha collaborato con Istituto Luce, Rai Cultura e Premio Libero Bizzarri. Tra i suoi libri, "Il giovane Fellini" , "La prima Roma di Pasolini". Attualmente dirige l'Archivio Pasolini di Ciampino
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