La scomparsa di Gianni Minà. Il “modesto cronista” che amava tutti i sud del mondo
Aveva 84 anni Gianni Minà, scomparso il 27 marzo, gigante del giornalismo che in tanti stanno salutando in queste ore nella camera ardente allestita in Campidoglio. La sua mitica agendine zeppa di nomi gli permise le interviste più impensabili, tutte nate dalla profonda empatia che sapeva far sentire a chi partecipava alle sue trasmissioni. Perché il giornalismo è soprattutto incrociare, che è molto diverso dal mettere in croce.
«E poi, il modesto cronista», concludeva, mostrando una foto storica, scattata a Trastevere. Cinque amici da Checco il Carrettiere, solo che non erano cinque qualunque: De Niro, Leone, García Márquez, Muhammad Ali. Il quinto, raggiante, con la testa appena inclinata e i baffi inconfondibili, era il modesto cronista appunto, Gianni Minà.
È morto a Roma lo scorso 27 marzo, il grande giornalista torinese, una breve malattia cardiaca ha scritto la famiglia. Ma dalle scene pubbliche si era ritirato da un po’.
Gli ultimi interventi erano stati, ancora una volta, in nome di un’amicizia. Quella con il più grande di tutti, Diego Maradona, che riuniva insieme tanti dei suoi oggetti d’amore come uomo e come giornalista: l’America Latina, Napoli, lo Sport.
Lo difendeva strenuamente davanti a chi voleva fargli la morale. «Nessuno sa cosa vuol dire essere Maradona», spiegava. Diego se l’era conquistato così, con l’empatia, che poi era il suo vero punto di forza. Nelle sue trasmissioni, Minà non aveva ospiti, aveva amici, due cose molto diverse.
La sua bussola puntava a Sud, perché è spesso lì che sono le ombre del mondo. Il Sud italiano, con le intramontabili amicizie che hanno creato pezzi straordinari di televisione. Troisi su tutti, con quel suo monologo sull’agendina: «Come mi ha trovato? È andato alla T: Taviani, Little Tony, Toquinho, Troisi».
Ma anche e soprattutto il Sud America. Nel ‘78 è allontanato dal mondiale argentino, giocato in piena dittatura di Videla. Lui non ci sta e fa una domanda sui desaparecidos. È quella parte dell’America che vuole raccontare, quella all’ombra dell’ingerenza statunitense. E proprio per questo guadagna il rispetto di tanti.
Soprattutto a Cuba. Fidel gli concede numerose e lunghe interviste, pubblicate in mille forme, dal documentario al saggio. Ma fa anche di più, lo sceglie, nel 1987, per essere il depositario della prima vera intervista in cui racconta il suo Che.
Anche al cinema ha attinto molto, restituendo sempre, con documentari straordinari. A lui si devono tante interviste rimaste storiche, da Fellini a Volonté, tutti personaggi che davanti al microfono di norma avevano istinto di fuga.
A leggere la lista degli intervistati nella carriera di Minà si impallidisce. Gente impensabile, come quella fotografia a Trastevere. La prima cosa che verrebbe da pensare è che non fosse un intervistatore molesto, di quelli che incalzano per cercare lo scoop. E invece no, si ascoltano le sue domande e sono come bordate: «Cos’è successo Diego, non sei più forte come un tempo?». O ancora: «Ali, lei è così aggressivo perché vuol farsi pubblicità?».
Domande più coraggiose che impertinenti, basti pensare che uno dei due intervistati avrebbe potuto stenderlo con un gancio in qualche millisecondo. Se le permetteva perché aveva piena fiducia, in sé come nell’amico che intervistava. Era la sicurezza che deriva dal legame umano.
Minà insegna che fare il giornalista non vuol dire solo fare un mestiere. O meglio, che il mestiere si può e si deve fare senza sacrificare la vita. La propria, sull’altare dell’ignavia. E quella di chi si incrocia, perché il giornalismo è soprattutto incrociare, che è molto diverso dal mettere in croce.
E lascia anche una speranza. Quella di poter ancora attraversare la storia come Gianni Minà, parlando con tutti, scherzando con tutti, ridendo sotto i baffi (letteralmente). Così che anche morire, alla fine, sembri solo l’ultima mascalzonata fatta per imitare vecchi amici.
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.
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