Il dramma di un aborto nel libro di Annie Ernaux che ha ispirato il Leone d’oro 2021
Pubblicato in Italia nel 2019 (L’Orma) “L’evento” è il libro di Annie Ernaux che ha ispirato il film di Audrey Diwan che ha vinto il Leone d’oro di Venezia 78. Il racconto in prima persona della scrittrice francese quando nel 63, studentessa 23enne, ha vissuto l’esperienza traumantica di un aborto. Anni in cui l’interruzione di gravidanza veniva punita con detenzione e sanzioni pecuniarie, revoca del permesso di soggiorno e privazione definitiva della facoltà di esercitare la propria professione, per chiunque fosse coinvolto. Sembra una storia del passato ma basta guardare alla cronaca recente (il cimitero dei feti a Roma), purtroppo, per ricredersi …
Se non ci fosse capitato di leggere, nemmeno due o tre anni fa su l’Espresso, quanto una giovane donna, Francesca Tolino, ha sentito il dovere di raccontare della sua raccapricciante esperienza in un Ospedale pubblico a Roma dove era possibile fare un aborto, L’evento, testimonianza della scrittrice Annie Ernaux su quanto è capitato a lei in Francia nel 1963, ci potrebbe sembrare antica storia. Superata in Europa. In Italia, grazie alla legge 194, ottenuta con un referendum 43 anni fa.
Se a qualcuno è sfuggita questa storia recente, che ha dato vita alla campagna dei Radicali “Libera di abortire”, iniziativa per sensibilizzare il rispetto del diritto alla sospensione della gravidanza, riassumiamo in breve.
Francesca, già mamma di una bambina, aspetta felicemente una seconda figlia e, al sesto mese di gravidanza, scopre, dopo una morfologica, che la creatura ha dei problemi di malformazioni irreparabili al cuore.
Non sono molte le speranze che sopravviva e, forse anche per dolorosissima esperienza vissuta in famiglia, decide – tutti possiamo immaginare con quanto strazio – di non portare a termine la gravidanza.
Il suo calvario inizia qui.
Ricoverata all’Ospedale San Giovanni di Roma nell’autunno pre Covid del 2019, resta una settimana senza che proprio nessuno la informi di niente.
E non è che la prima violenza psicofisica a cui andrà incontro.
Più volte nei giorni di ricovero, a decisione dunque presa, la sottopongono a ripetute ecografie per farle dare un’occhiata al volto della figlia.
Un bel sadismo, considerando la dolorosa decisione presa.
Il parto sarà infernale, sei ore di urli senza assistenza anestetica, perché non riescono a trovare nessun anestesista non obiettore di coscienza.
E poi la macabra chiusura dopo il parto. Francesca ha chiesto ripetutamente che fine aveva fatto il suo feto, senza ottenere mai risposta.
L’agghiacciante scoperta è arrivata nel 2020: al cimitero Flaminio di Prima Porta a Roma dove, senza mai consultare o informare le madri che avevano abortito, trova seppelliti su un prato brullo i loro feti. Ognuno aveva la sua gelida croce con scritto il nome della madre che, seguendo il pensiero di chi li aveva inumati, li aveva uccisi con la scelta dell’aborto. Tra questi nomi c’è anche il suo.
Scoperta che ha ovviamente scatenato da parte sua e dei Radicali una Citazione in giudizio nei confronti dell’Ospedale San Giovanni e dell’Ama. Di cui, considerando i tempi della Giustizia, forse tra una decina d’anni avremo gli esiti.
Questo episodio, che ha innescato migliaia di testimonianze anonime di donne, non è evidentemente così raro, anche nella civile e democratica Europa dei nostri giorni, e in qualche modo ci fa anche capire quanto, purtroppo, sia ancora attuale il racconto dell’esperienza traumatica d’aborto vissuta – quando ancora in Francia veniva punito con detenzione e sanzioni pecuniarie, revoca del permesso di soggiorno e privazione definitiva della facoltà di esercitare la propria professione, chiunque fosse coinvolto in un aborto – dalla studentessa Annie Ernaux a 23 anni. Età in cui stava appena riuscendo a emanciparsi da una famiglia e vita proletaria scavalcando a fatica la soglia che la portava verso una società intellettuale e borghese.
Racconto recuperato da un difficile rimosso con la scrittura de L’evénement nel 2000 (subito pubblicato in Francia da Gallimard e in Italia da L’Orma nel 2019) e in grado di continuare a stimolare, in qualche donna, il desiderio di adattarlo per il cinema. Come succede puntualmente.
Per quanto poi riguarda Ernaux, non è il suo primo libro autobiografico a sbarcare nelle sale: lo scorso anno al Festival di Cannes è arrivato L’amante russo della regista libanese Danielle Arbid tratto da Passion Simple del 1991 e a quanto pare – fatto raro – davvero molto apprezzato dalla stimata autrice.
L’evento viene invece riportato dalla Ernaux con uno sforzo di memoria fredda. Con la fatica di catturare e scandagliare, a distanza di 37 anni, tutti i dettagli del trauma vissuto, ma anche dell’ambiente, umano e non, che ha sfiorato.
Un lavoro che potrebbe fare, in fase giudiziaria, una persona che cerca di dare una precisa testimonianza con funzione politica, quasi maniacale, del vissuto in quei mesi. E fare questo richiede un duro impegno di fermezza per evitare il sopravvento di emozione e dolore.
Vedremo se la vittoria del Leone d’oro da parte della regista francese Audrey Diwan, al suo secondo lungometraggio con L’evénement, interpretato da una magnifica Anamaria Vartolomei, riuscirà a soddisfare, anche lei pienamente, con il suo adattamento la scrittrice francese.
Mi permetto di aggiungere al tema che ogni punitiva, e in qualche modo “talebana”, intromissione sul cosa fare del proprio corpo in situazioni così strazianti o inaccettabili, va’ esteso a tutti, non solo alle donne.
Alludo, è ovvio, anche all’ eutanasia.
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