La vita fuori campo del Midwest. Wiseman (fuori concorso) illumina Venezia
Presentato fuori concorso, “Monrovia, Indiana”, l’ultimo film dell’88enne Frederick Wiseman, il maggiore documentarista vivente. La registrazione scientifica della vita nella comunità del Midwest rurale, 1.400 abitanti: un certificato di esistenza e alterità rispetto alla grande città. Che prende una posizione: portare sullo schermo ciò che è fuori campo. E alla fine guarda in faccia la Morte …
Frederick Wiseman ama le città. Sonda le comunità, in senso etimologico, perché il bene comune e lo stare insieme sono da sempre oggetto di indagine del suo cinema. Lo sono, per esempio, in Belfast, Maine (1999) ma anche nel recente In Jackson Heighs (2015) imperniato sulla comunità – appunto – nel Queens a New York. Nello stesso solco è Monrovia, Indiana, presentato fuori concorso al Festival di Venezia.
Dopo l’arte di National Gallery, dopo la biblioteca e quindi la democrazia in Ex Libris, dunque, il maggiore documentarista vivente torna alla città. Una piccola città. “Monrovia, nello Stato dell’Indiana, mi ha affascinato per le sue dimensioni (1.400
abitanti), la sua ubicazione (non avevo mai diretto un film nel Midwest rurale) e gli interessi culturali e religiosi condivisi”,
spiega. Ed è proprio così: lontano dalla metropoli americana, la macchina da presa del regista si concentra su una raccolta civiltà
contadina.
Il metodo di Wiseman, compiuti 88 anni, è ormai noto: insieme allo storico operatore John Davey si trasferisce nel luogo prescelto, organizza lunghi appostamenti, gira centinaia di ore. Si “nasconde” nell’oggetto considerato, si mimetizza, lo sonda in ogni possibile angolazione, alla paziente ricerca dell’istante significativo e insieme del flusso della quotidianità.
Qui nove settimane di ripresa, dialoghi con i singoli abitanti di Monrovia, una ricerca per registrare la vita e il funzionamento del centro: sull’enorme girato, poi, interviene il montaggio e gradualmente si costruisce il film.
Wiseman inquadra i luoghi e i volti. Apre con un passaggio “trasversale”, dagli animali agli uomini, dai bovini e suini agli
abitanti: ricorda che la civiltà deriva dalla natura e con essa dialoga costantemente. E poi il barber shop, il negozio di tatuaggi, i ragazzi del liceo. Anziani che parlano tra loro di quando erano giovani. Un matrimonio, un’asta di trattori. Ne emerge gradualmente l’affresco di una comunità molto credente, favorevole alle armi con una magistrale ripresa nel negozio di pistole, una lezione di “rispetto del reale” nell’epoca in cui ognuno impone l’opinione.
A Monrovia affiorano grandi e piccoli problemi: l’opportunità di realizzare una rampa viene lungamente discussa in una riunione,
registrando in piccolo i grandi Consigli di amministrazione della National Gallery e Public Library mostrati nei film precedenti:
Wiseman indaga il meccanismo, mostra il funzionamento, guarda il processo decisionale e quindi la democrazia.
Ma ciò che più colpisce, in questo film, è certamente l’ultima mezz’ora: nella struggente ripresa di un funerale, Wiseman documenta la Morte. Il vecchio maestro segue le esequie di Shirley, 74 anni, amata dalla comunità, e la accompagna fino all’interramento della bara: proprio alla terra che la ricopre viene dedicata un’inquadratura annichilente.
A memoria, nella sua filmografia, non si ricorda un confronto così diretto con la fine, con cui anche lui stesso dialoga a
viso aperto. Con lo storico rigore: anche il funerale viene registrato con un appostamento di realismo scientifico, e sull’immagine della bara nella terra arriva la dissolvenza.
Monrovia, Indiana si offre paradossalmente come il lavoro più sintetico degli ultimi anni: “solo” 143 minuti per un luogo e 1.400
cittadini, perché nel suo atto documentario la durata non viene dettata da un’esigenza narrativa finzionale, naturalmente, ma dalla rilevazione scientifica del vero.
Cinema che combacia con la materia rappresentata, la estrae dalla realtà e rimonta sullo schermo per il nostro sguardo: se la palestra di Boxing Gym (2010) veniva perlustrata in appena 90 minuti, ecco allora che in poco più di due ore si addensa
compiutamente la sostanza di questa comunità.
“Mi interessava indagare da vicino la vita nelle cittadine americane e condividere ciò che ho visto”: seppure intento alla ricostruzione del vero, infatti, quello di Wiseman continua ad essere cinema degli ultimi e residuali. Porta sullo schermo ciò che è fuori campo. Nell’immagine c’è sempre una posizione: qui un certificato di esistenza e di alterità rispetto alla grande città.
Nell’opulenza di Venezia 75, tra nuovi autori in concorso e maestri fuori competizione, Wiseman obbliga a ripetersi: è oggi uno dei migliori cinema possibili.
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