Quando l’Aids era una guerra. E il cinema dalla parte del cuore
In sala dal 5 ottobre (per Teodora Film) “120 battiti al minuto” di Robin Campillo, premiato a Cannes e in corsa per l’Oscar sotto bandiera francese. Un film da non perdere, sulla battaglia contro l’Aids della comunità gay nei primi anni anni Novanta, quando l’epidemia era avvolta dal silenzio e dalla totale idifferenza delle istituzioni. Un film che andrebbe fatto vedere nelle scuole, ma che in Italia è vietato ai 14 anni …
È un film di corpi e di lotta 120 battiti al minuto. Di vita e morte, di resistenza e amore, di disperata bellezza. Un film che la Francia ha candidato all’Oscar e che l’Italia ha bollato col divieto ai 14 anni. A riprova, ancora una volta, dell’assoluto tabù che nel nostro paese avvolge il tema dell’omosessualità. Anche se, come in questo caso, si racconta di una battaglia che riguarda tutti noi: la guerra all’Aids.
Quella condotta nei primi anni Novanta dalle associazioni di attivisti, gay soprattutto che per la prima volta, coraggiosamente e sulla loro pelle, hanno portato all’attenzione dei media e delle istituzioni assenti, il dramma di un’epidemia, peggio una vera guerra, costata 42 milioni di morti. Eppure allora lasciata sotto silenzio, relegata ai margini, come ai margini erano respinte le sue vittime della prima ora: tossici, omosessuali, prostitute.
Con la forza dell’esperienza personale di questo ci racconta Robin Campillo, regista e fedele sceneggiatore di Laurent Cantet, col suo 120 battiti al minuto, Grand Prix a Cannes e grande successo nelle sale francesi. Ci racconta della scelta dei tanti militanti di Act Up-Paris che, attraverso pacifici raid nelle case farmaceutiche, incursioni nei licei coi preservativi, coinvolgimento di politici, hanno fatto la loro parte, enorme, nel comunicare al mondo intero l’urgenza delle cure (contro gli interessi dell’industria) e della prevenzione.
I loro stessi corpi, anche e soprattutto quelli segnati dalla malattia, diventano nel film, come allora nella realtà, manifesto della battaglia contro il silenzio. Nelle strade di Parigi, in discoteca, al ritmo travolgente dell’house music, negli amplessi voraci (splendide le scene di sesso), durante le azioni non violente, i Gay Pride sdraiati a terra, o durante le lunghe assemblee dell’associazione, dove prendono corpo – ancora una volta – le tante voci, anche critiche, del movimento.
Campillo che in Act Up-Paris ha militato a lungo è su quei corpi che ha saputo lavorare da grande artista. Um mix di attori professionisti e non, ragazzi presi dai locali, dal circo, per strada, ballerini (superbi Nahuel Pérez Biscayart, Arnaud Valois, Adèle Haenel). Un gruppo magnifico, un collettivo straordinario, a raccontare una storia collettiva, politica che dice di una battaglia mai finita. Come dimostra il divieto ai 14 anni e quegli insulti omofobi comparsi in rete nei giorni scorsi, a cui la miglior risposta è andare in sala a vedere il film. Un film di corpi e di lotta, dicevamo. Da non perdere assolutamente.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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