Le sbarre in testa. Con “Samad”, piccolo grande film contro gli orrori del carcere
In sala dal 13 maggio e con diverse anteprime anche nelle carceri italiane, “Samad” esordio nella finzione di Marco Santarelli, apprezzato autore di cinema del reale. Attraverso la vita di un giovane marocchino, ex spacciatore ed ex detenuto, una riflessione importante sul tema dell’identità di fronte a radicalizzazioni, integralismi e l’impossibilità del dialogo, soprattuto all’interno del carcere, istituzioni comprese. Tutte persone che “le sbarre ce l’hanno nella testa“. Distribuito da Kavac Film in collaborazione con KIO film e sostenuto da Antigone …
Farsi sorprendere dal carcere. Dalle sbarre. Dalle umiliazioni e dalle privazioni quotidiane. Farsi sorprendere da un film sul carcere e scoprire, magari, che quelle celle, quei grandi cancelli rumorosi sono ovunque. Anche fuori dagli istituti di pena, sono nelle strade, nelle case. Nei libri, nelle preghiere. Nelle teste di tutti.
Un film sul carcere, allora; l’ennesimo? È vero che sulle barbarie che sono costretti a vivere i detenuti, anche quelli giovanissimi – come ha svelato l’ultima, sconcertante indagine sul “minorile” di Milano –, sono ancora troppo poche le denunce, gli allarmi. Sono ancora pochi e sembrano inefficaci i racconti su cosa sia in questo paese la detenzione. La condanna.
Sono pellicole importanti ma non si sfugge alla sensazione che ripetano un po’ tutti lo stesso cliché. Qui, invece, in Samad, debutto nella finzione di un autore dalla lunga esperienza nel documentario sociale come Marco Santarelli, non c’è nulla di scontato. Proprio nulla. A cominciare dalla trama, pensata – lo spiega lui stesso – durante le riprese di Duster (Costituzione) nel 2015, il suo secondo documentario in carcere.
Samad, il protagonista, un giovane migrante marocchino (Mehdi Meskar), è fuori dal carcere. È riuscito ad uscirne: è in quel limbo dove si è tornati fuori, si lavora ma si deve rispondere delle proprie giornate alle autorità. Col rischio di dover rientrare. È fuori grazie al sostegno di un sacerdote – un amico, un “mentore” – che lo ha aiutato a trovare un lavoro: è in una cooperativa che si occupa della cura dei giardini. Lui sale sugli alberi a tagliare i rami secchi.
Poi, a rompere il delicato equilibrio delle sue giornate, arriva il caso. Trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Perché Padre Agostino (Roberto Citran) vuole che Samad torni in carcere, per un colloquio, un confronto coi suoi vecchi amici, con le stesse persone con le quali spacciava droga.
Il sacerdote vorrebbe che convincesse anche loro che vale la pena vivere da liberi. Fuori dalle celle. Ma l’incontro avviene nel momento sbagliato: il carcere è attraversato da una tensione fortissima perché l’imam dell’istituto – sospettato di non limitarsi alle preghiere – viene spostato in isolamento e “girano voci” sull’imminente chiusura dell’improvvisata moschea.
È il giorno più sbagliato che possa esserci. Perché la nuova, solita provocazione di un agente – che dà solo ordini, non spiega, non vuole spiegare nulla – scatena la ribellione dei detenuti. Che si barricano nella biblioteca, col sacerdote, Samad ed una giornalista che li aveva accompagnati.
È una trama complessa, che si svela attraverso dialoghi mai banali. Con un linguaggio autentico, per chi sa delle cose del carcere (come chi scrive, da anni volontario a Rebibbia), con un incedere dei ritmi che oscilla fra pause, sospensioni ed accelerazioni. Esattamente come la vita nel carcere. Ma è una trama complessa che si sovrappone ad un’altra. Ugualmente complicata. Che parte da una domanda, rivolta a Samad: chi sei?
Perché il ragazzo non sa più quale sia la sua identità. La vita da fuori legge lo ha esasperato, la vita “normale” l’opprime in tanti altri modi. Non sa più neanche se sia ancora musulmano, in quella versione un po’ da setta e molto machista raffigurata dai suoi ex compagni di detenzione. Ma non sa se può definirsi cristiano, la religione che molti – tanti, troppi – usano in questo paese per discriminarlo. Per sottometterlo.
Non sa chi sia. Ed anche quando si ritrova un po’ ostaggio, un po’ amico di chi si è barricato nella biblioteca, anche in quelle ore, è lacerato dalla scelta su cosa fare. Forse perché è messo di fronte ad una scelta che non vorrebbe compiere, che non dovrebbe mai essere costretto a compiere.
E Samad, il film, ti da tutti gli elementi per capire che quella dicotomia fra il bene ed il male non ha mai senso. Tanto meno se si parla di carcere. Perché la comunità musulmana che si ribella ha un miliardo di motivi per farlo: umiliata, provocata. Discriminata, volutamente privata non solo della libertà personale ma anche della dignità. E che si affida per emanciparsi ad una logica religiosa, totalizzante, estraniante. Razzista anche verso chi, pur musulmano, ha solo la pelle nera. Violenta, ottusa. Al punto che Samad, in uno scontro verbale con uno dei ribelli, urla: “Siete proprio come loro, siete come le guardie”.
Dall’altra parte, dalla parte di chi sta falsamente conducendo una trattativa per mettere fine alla rivolta, ci sono le istituzioni. Quelle che governano il carcere. Prive di umanità, repressive, solo repressive. Capaci anche loro di aggirare le leggi e di mettere a tacere quelle poche voci ragionevoli. Un’altra parte ottusa.
La fine tragica della rivolta riporterà Samad in cella, nonostante sia stato lì per caso. E riprenderà ad essere rifiutato sia dalla comunità alla quale dovrebbe appartenere e sia da quell’altra, quella dei detenuti bianchi, italiani, cattolici. Non meno integralisti e spietati. Tutte persone che “le sbarre ce l’hanno nella testa“.
Non c’è una soluzione, un finale. Samad non saprà chi è davvero. “Sono solo un giardiniere”. Perché le sbarre mentali di questo mondo, come le sbarre del mondo di fuori, gli offrono solo la possibilità di tirarsi fuori. Gli danno solo la possibilità di non scegliere. Aspettando il prossimo evento.
Ps: il film è stato prodotto da The Film Club, Kavac Film e RaiCinema, col contributo del ministero della cultura e col sostegno delle regioni dell’Emilia Romagna e del Lazio sarà proiettato anche in diversi istituti di pena. Col sostegno dell’associazione Antigone.
26 Aprile 2017
Fascismi di casa nostra. In sala il film su Marine Le Pen
In sala dal 27 aprile (per Movies Inspired) "Chez nous" di Lucas Belvaux,…