“Liberamente tratto da …”. Al festival di Cannes 2021 impazza il “romanzo-mercato”
Dietro le quinte di Cannes dove si muove il prolifico mercato degli adattamenti che vedremo. La vendita dei diritti letterari ha avuto un suo decollo ed è, secondo Le Monde, la vera anima nascosta del Marché du Film. I prezzi dei diritti oscillano tra i 25mila e i 500mila euro. Ma la percentuale di libri venduti alle case di produzione che diventano effettivamente dei film non arriva al 5%. Comunque una manna economica per editori e case di produzione, sebbene più per i primi che per i secondi. E per alcuni autori il cinema rimane uno spauracchio…
Il 74º Festival di Cannes si è dimostrato prodigo di adattamenti. Non si tratta certo di una novità, negli ultimi anni romanzi e volumi di vario tipo hanno nutrito in maniera sempre più massiccia l’industria del cinema e della televisione. Il mercato è fiorente e Le Monde ha raccontato recentemente il pragmatico processo che porta le pagine letterarie a trasformarsi in fotogrammi di successo.
Il Marché du Film, ossia il mercato dei film che è il fulcro della Croisette per gli addetti ai lavori, è sempre più teatro di una sorta di romanzo-mercato. Gli editori si presentano con i propri titoli di grido e i produttori imbastiscono trattative serratissime, sia su mandato dei propri registi che autonomamente.
Fin qui, in realtà, di nuovo c’è ben poco, è solo la riproduzione in larga scala di una prassi già largamente diffusa. Basti pensare che il più grande successo economico della storia del cinema, il tanto discusso Via col vento, è stato opzionato da David O. Selznick. prima ancora della pubblicazione, facendone già solo per questo un grande successo editoriale.
Sì, perché gli affari tra case editrici e case di produzione vanno a gonfie vele anche perché il guadagno per entrambe è quasi assicurato. Le Monde riporta le dichiarazioni della direttrice generale degli editori francesi (SCELF), Nathalie Piaskowski, che spiega come in Francia il 40% dei film con mezzo milione di spettatori sono adattamenti. Dati che salgono al 50% per i film che superano la soglia dei due milioni di biglietti venduti.
Il pubblico ama insomma vedere trasportati i propri libri preferiti sul grande schermo. Per il versante produttivo è un dato importante, da accostare ad un altro elemento fondamentale: «partire da un soggetto letterario permette di accorciare la lavorazione della sceneggiatura di circa due anni», spiegano dalla SCELF. Il guadagno insomma è evidente.
Lo stesso vale per le case editrici. La trasposizione cinematografica di un titolo del catalogo si accosta quasi sempre con un impennata delle vendite, proporzionale ovviamente al successo del film. A ciò si aggiunge poi il succo del discorso: la trattativa. Se tutti questi guadagni collaterali sono in qualche modo già sicuri, è sul prezzo di vendita dei diritti che si gioca la partita economica fondamentale. I prezzi oscillano tra i 25mila e i 500mila euro, con variazioni da attribuire a tante varianti: successo letterario, fama dell’autore o dell’autrice e così via.
Dai diritti opzionati, poi, molto spesso non nasce nulla. La percentuale di libri venduti alle case di produzione che diventano effettivamente dei film non arriva al 5%, il resto si perde nel dedalo sempre più intricato del sistema produttivo, dove, si sa, sono più i film che vanno a morire rispetto a quelli effettivamente realizzati.
C’è infine la grande questione che gli adattamenti portano con sé: che fare se al cinema si snatura il romanzo? Materialmente, si può fare ben poco, una volta che i diritti sono stati venduti le case di produzione possono farne quello che meglio credono. Unica arma di difesa per i romanzieri è chiedere, per pietà, che appaia la dicitura “liberamente tratto” nei titoli di testa. O farsi cancellare dall’elenco degli sceneggiatori, come fece Giorgio Bassani per Il giardino dei Finzi-Contini di Vittorio De Sica.
Proprio per questo, in molti negano preventivamente i diritti. Chi perché non vuole correre rischi, chi invece perché una volta li ha corsi e ha capito di aver sbagliato; è il caso del grandissimo romanziere ceco Milan Kundera, che si è ormai deciso a non vedere nessuna delle sue opere dopo la delusione avuta da L’insostenibile leggerezza dell’essere di Philip Kaufman.
Il caso più curioso è stato quello di Marguerite Duras, scrittrice, sceneggiatrice e regista che ha sentenziato più volte come “tradimento” qualsiasi adattamento cinematografico di un’opera letteraria. Ciononostante, ha concesso la vendita dei diritti di molti dei suoi romanzi, in alcune occasioni prodigandosi in prima persona per affidarli a un regista. A chi gli chiedeva il perché rispondeva, amaramente, che è l’unico modo di far soldi per una scrittrice.
Eccoci dunque, finalmente, all’ennesimo paradosso di questo mondo che sembra sfornarne uno al giorno. Se insomma è vero che molto spesso tra libro e film non ci sia partita, la sussistenza del primo sembra derivare sempre di più dal secondo. Così, davanti al solito film che smembra e appiattisce il nostro romanzo preferito, forse dovremo anche ringraziare. Il circolo vizioso dell’industria compie finalmente la sua più grande impresa: fare anche delle “cagate pazzesche” delle opere essenziali.
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.
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