Metamorfosi napoletane, il cinema “mutante” di Antonietta De Lillo

Appuntamento venerdì 23 marzo (ore 21) all’Apollo 11 di Roma (Via Nino Bixio, 80 /A) con “Metamorfosi napoletane” due film brevi di Antonietta De Lillo, legati tra loro dal tema del cambiamento. “Promessi Sposi” del ’93 e “Il signor Rotper” del 2017 (anche in dvd). Dibattito con la stessa regista e il critico Federico Gironi. I due film resteranno in programmazione per una settimana …

È un cinema mutante quello di Antonietta De Lillo. E queste “Metamorfosi napoletane” – di scena all’Apollo 11 dal 23 marzo per una settimana – ne sono davvero una bella testimonianza. A tracciare un percorso lungo oltre vent’anni di indagine curiosa sulla condizione umana e le sue “mutazioni”.

Le metamorfosi del titolo riguardano due personaggi, anzi tre, catturati attraverso due ritratti, “genere” in cui la regista napoletana si è ritrovata – soprattutto in questi ultimi anni – a dare il meglio di sè (La pazza della porta accanto, Let’s Go) sperimentando una formula di cinema resistente ed autarchico, buono per i mutamenti delle stagioni più difficili.

Due ritratti, dicevamo, a confronto. Quei Promessi Sposi del 1993, Antonio e Lina, presi dalla realtà, dalle strade di Napoli e quel Signor Rotpeter del 2017, preso dalla fantasia letteraria di Kafka e premiato – con Nastro D’argento – per la splendida interpretazione scimmiesca di Marina Confalone, oltre che ampiamente lodato su queste pagine web.

In Promessi sposi sono due innamorati a raccontare la loro storia d’amore. I volti spesso in ombra, quasi a celare un segreto e profondi tagli di luce accentuati dal bianco e nero. Dettagli dei corpi, una cicatrice e frammenti di un discorso amoroso che a poco a poco svela il loro cambiamento: Antonio che ha combattutto una vita per quel nome. Che se l’è conquistato dopo due operazioni ed ore ed ore di anestesia per “togliere la femminilità e tutte quelle cose che non mi interessavano”. Che prima si chiamava Assunta e che fin da bambino odiava le bambole e voleva le pistole di suo fratello. E che ora per sua madre non ha più un nome.

E Lina, poi, che tutto quel percorso l’ha seguito da innamorata. Che l’ha visto uomo dal primo momento e che non riusciva a capire come “la gente potesse chiamarlo Assunta”. La stessa gente pronta a puntare il dito, a giudicare, come la sua famiglia nella quale ha portato la “vergogna di stare con uno che non si sa se è donna o uomo”.

Nel chiuso del’inquadratura in penombra Antonio e Lina si raccontano a ritmo di campi e controcampi, mai realmente faccia a faccia ma affiancati, così come lo sono in quel loro amore che hanno scelto fino in fondo. Sfidando le famiglie, la gente, le convenzioni per arrivare alla fine, dopo l’operazione, al matrimonio così a lungo sognato e finalmente sposi.

Protagonisti, insomma, di metamorfosi fisiche ed esistenziali non certo isolate alle tematiche gender. Ma che, come ci suggerisce Il signor Rotpeter – e attenzione il suo autore di metamorfosi è uno che se ne intende – riguardano tutti noi, il nostro vivere, la necessità di cambiamento, nel bene e nel male. Il desiderio di trovare una via di fuga, come la scimmia di Kafka costretta a farsi uomo per sfuggire dalla gabbia.

E come il cinema di Antonietta De Lillo che delle metamorfosi esistenziali è protagonista e narratore. Sarà per questo che il prossimo film partecipato della sua Marechiaro è sull’uomo e la bestia?