“Non mi avrete mai”: Gaudino porta al cinema la vita di un figlio del Bronx

L’autore di “Per amor vostro” sta lavorando all’adattamento del romanzo autobiografico di Gaetano Di Vaio. “Ma non sarà né un film di genere, né d’azione”, dice. Firmano la sceneggiatura Giuseppe Gaudino, lo stesso Di Vaio (che lo produce con Minerva Pictures e RaiCinema) e Guido Lombardi. Inizio riprese tra gennaio e febbraio 2017…Strade-di-Scampia-2

La sfida non è da poco. Fare un film né di genere né d’azione, nonostante sia una storia di “educazione criminale”. E raccontare Napoli “senza speculare sulla povertà e sull’emarginazione”, ma con sguardo politico alle stesse politiche che quell’emarginazione l’hanno pianificata a tavolino.

Giuseppe Gaudino, fresco di sei candidature ai Nastri d’argento e della Coppa Volpi a Valeria Golino Per amor vostro (leggi la recensione), sta lavorando all’adattamento di Non mi avrete mai (leggi la recensione), il romanzo autobiografico di Gaetano Di Vaio scritto nel 2013 a quattro mani col regista Guido Lombardi.

Non un libro qualunque. Ma l’esordio letterario di un autodidatta: il produttore, attore e regista napoletano che con la sua factory, “Figli del Bronx”, ha scalato non solo le vette dell’industria cinematografica e i palmarès dei festival (Leone del futuro per Là- Bas, dello stesso Guido Lombardi e la Coppa Volpi Per amor vostro), ma è diventato un vero e proprio riferimento per il cinema d’autore e indipendente, d’impegno sociale e “militante” – come si sarebbe detto un tempo – , costruendo negli anni, tra laboratori e attività culturali nei quartieri più a rischio di Napoli, un vero e proprio argine contro la Camorra. Una sponda, insomma, per tanti ragazzi da “strappare” alla strada o peggio a ‘O sistema, come da queste parti si chiama la criminalità organizzata, e che lui da giovane ha conosciuto bene.

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E sì perché Non mi avrete mai, già di per sè un film nel film, è esattamente il racconto dell'”educazione criminale” che Gaetano Di Vaio ha vissuto da ragazzo, tra Piscinola, Marianella, Scampia, i tanti Bronx di Napoli, a contatto coi furti, lo spaccio, la tossicodipendenza e, soprattutto, la violenza delle “istituzioni totali”: dal collegio al riformatorio, da Poggioreale a San Patrignano. Dove non si è mai piegato, né alle “mazzate” dei poliziotti corrotti, né alle regole imposte dalla Camorra, alla quale non si è mai affiliato.

In quelle 334 pagine di rara potenza visiva, scritte mixando ironia e dramma, mescolando l’italiano dell’autodidatta al dialetto napoletano, Gaetano Di Vaio racconta tutto questo: dall’infanzia in un basso napoletano con sei fratelli e tanta fame, tale da spingerlo ad accettare pure il collegio “per bambini poveri” e, anche qui tante “mazzate”; fino ai furti, le pistole, lo smercio di droga nella Scampia degli anni Ottanta, trasformata nella piazza di spaccio più grande d’Europa.

E tutta questa febbrile materia narrativa presa dalla vita, dovrà raccontare Giuseppe Gaudino, ben consapevole di voler evitare “santini, anche al negativo”, stando lontano “dalla moda dei cattivi che diventano buoni”. Lui che di Napoli si è già mostrato acuto narratore delle sue stratificazioni di senso e storia (fin dal folgorante Giro di lune tra terra e mare) ha scelto, ci racconta, di puntare sulle  “emozioni piuttosto che sull’azione”, assottigliando via via i tanti fatti di vita vissuta che Gaetano narra nel libro per restituire il suo lungo cammino di affrancamento dalla povertà.

Al lavoro sull’adattamento insieme allo stesso Di Vaio e Guido Lombardi, Gaudino parla della forza di un personaggio “non inquadrabile in nessun canone”, che prende vita proprio a partire dalla sua vitale “intelligenza, che non è la cazzimma, ossia la furbizia del giovane con la pistola” che delinque per arrivare alla ricchezza. Ma è piuttosto “l’esuberanza di chi, anche attraverso mille furti, cerca la sua strada verso l’indipendenza e l’autonomia”. Quella che oggi, una volta trovata, mette al servizio di tutti, “come operatore culturale, generoso e capace di condividere con gli altri”.

“Quell’esuberanza – sottolinea ancora il regista – che il potere cerca di piegare in ogni modo” e contro il quale Gaetano si scontra, cade, ma si rialza ogni volta, come racconta nelle pagine del suo libro, durissimo, quando narra delle “stanze 0” dei luoghi di detenzione, dal collegio alla galera, dove le “mazzate” sono sempre per lo stesso motivo: farti capire chi comanda.

Per questo Giuseppe Gaudino, pensa ad un racconto concentrato soprattutto sull’infanzia, nei luoghi dell’emarginazione in cui matura “l’animosità” di questo bambino “bastonato e affastellato che diventerà un’arma letale”. In questo senso, prosegue “non mi interessa lo spacciatore, il ragazzo che spara, mi interessano piuttosto le sue emozioni. Non sarà, infatti, né un film d’azione, né di genere. E non sarà la Napoli di Gomorra. L’obiettivo, infatti è alzare di molto l’asticella sopra le solite speculazioni sulla povertà, sul brutto sporco e cattivo e guardare, invece, alle connivenze istituzionali e politiche che, in quegli anni, hanno scientemente spopolato il centro storico e trasformato in ghetto le tante Scampia”.

Abituato da sempre ad un cinema etico, luogo di ricerca, espressione d’indagine anche politica sulla realtà, Giuseppe Gaudino, tanto più questa volta, vuole arrivare al “racconto morale”, alla trasposizione “più fedele possibile dell’impegno civico” del testo scritto. “A non avere paura della verità, neanche quella durissima del carcere, raccontato come non è mai stato fatto – dice -. Una verità, in questo caso, che supera la storia personale e si fa universale, con l’ambizione di rendere il racconto più vero del vero”. Perché questo è il cinema di Gaudino e anche quello di Di Vaio. Un cinema orgogliosamente resistente, senza compromessi, che svetta nel narcotizzato panorama italiano. Quello di chi può dire: non mi avrete mai.