Ogni strada è illuminata. Herzog (di nuovo) on the road (e online) con lo zaino di Chatwin

Disponibile sulle maggiori piattaforme streaming e nei cinema virtuali del circuito #IorestoinSALA (per Feltrinelli Real Cinema e Wanted Cinema), “Nomad – In cammino con Bruce Chatwin”,  omaggio di Werner Herzog all’amico scrittore-viaggiatore britannico scomparso nell’89. Un nuovo pellegrinaggio laico, dopo quello per Lotte Eisner condensato nel libro, “Sentieri nel ghiaccio”. La riscoperta dei luoghi letterari dello scrittore nomade attraverso lo sguardo del regista tedesco, a dimostrazione del comune sentire: la fede nel cammino di entrambi. Passato alla Festa di Roma 2019 …

Werner Herzog e Bruce Chatwin (13 maggio 1940-18 gennaio 1989) sono stati legati da profonda amicizia e rispetto, incrociando il proprio lavoro e riconoscendosi l’uno nell’altro: “Chatwin era uno scrittore come nessun altro. Creava racconti mitici in forma di viaggi della mente. Sotto questo aspetto scoprimmo di essere simili, lui come scrittore e io come regista”.

Lo stesso Chatwin ricordava come i primi film del regista tedesco avessero avuto grande importanza per la sua opera; allo stesso modo, Herzog si è ispirato per il suo Cobra verde al romanzo Il viceré di Ouidah di Chatwin.

Un legame forte al punto che lo scrittore-viaggiatore britannico, in punto di morte, volle accanto il regista perché gli mostrasse il suo ultimo lavoro: un documentario su una tribù sahariana. Alla fine dell’incontro, sapendo che sarebbe stato l’ultimo, gli regalò lo zaino che lo aveva sempre accompagnato nei suoi viaggi.

Lo aveva progettato con precisione perché contenesse lo stretto necessario, e lo aveva poi fatto realizzare in cuoio da un sellaio inglese. Per ogni cosa lo zaino aveva una specifica tasca, della precisa misura di ciò che doveva contenere: i quadernetti moleskine, la macchina fotografica e quel poco altro che gli serviva per viaggiare leggero. Un preziosissimo e significativo dono d’addio che, appena un anno dopo la morte dello scrittore, fece il suo ritorno in Patagonia sulle spalle di Vittorio Mezzogiorno in Grido di pietra, il film che Herzog girò sul Cerro Torre.

Trent’anni dopo quell’addio, l’artista tedesco ha sentito di dover compiere un nuovo gesto dal grande valore simbolico: zaino in spalla – quello zaino! – si è incamminato sulle strade percorse dall’amico e ha deciso di farne il racconto di Nomad – In cammino con Bruce Chatwin. Già presentato alla Festa del Cinema di Roma nel 2019 e al 68/mo Trento Film Festival, il toccante documentario è ora in uscita nelle sale italiane il 19, 20, 21 ottobre, distribuito da Feltrinelli Real Cinema e Wanted Cinema.

Diviso in otto capitoli, il film mostra tutti i punti di contatto tra il lavoro di Chatwin e quello di Herzog e ogni capitolo si basa su un simbolo, su momenti decisivi della vita nomade e letteraria di Chatwin, raccontati proprio dove hanno avuto luogo. La delicatezza del tocco di Herzog definisce la cifra del film anche quando, nel capitolo finale intitolato The Book Is Closed, la bisessualità dello scrittore viene trattata come una conseguenza inevitabile del fascino magnetico della sua personalità: “Uomini e donne ne erano attratti”, confida la vedova Elizabeth, senza che ciò abbia comportato problemi al loro rapporto.

Herzog non è nuovo a gesti che assumono un intenso valore simbolico (soprattutto per sé). Nel 1974, alla stregua di un voto laico per propiziare la guarigione di Lotte Eisner, amica e monumento alla storia del cinema, si mise in cammino a piedi da Monaco di Baviera a Parigi. Ne abbiamo parlato recentemente su queste pagine web (leggi qui). Ma oggi è per Bruce Chatwin che ha ripreso quel pellegrinaggio.

Le biografie del grande viaggiatore raccontano che, dopo aver abbandonato il lavoro da Sotheby’s e interrotto i corsi di studi di archeologia a Edimburgo, si era dedicato ad allestire una mostra sull’arte dei nomadi. Nell’opera di Chatwin il tema del nomadismo rappresenta il nucleo più noto e un suo saggio storico-antropologico dal titolo, L’Alternativa Nomade, inedito tranne che per le parti epistolari pubblicate nel 2013 da Adelphi, contiene le tesi e i motivi che attraversano gran parte della sua produzione narrativa. Una per tutte: “Il nomade rinuncia; medita in solitudine; abbandona i rituali collettivi e non si cura dei procedimenti razionali dell’istruzione o della cultura. È un uomo di fede”.

È il pellegrino medievale o il nativo americano della tribù degli Hopi che compie il viaggio iniziatico circolare, è l’aborigeno australiano che canta quelle che sono linee immaginarie, sì, ma che percorrono tutto il continente diventando mappe fedeli e descrittive dei territori che il rituale “attraversa”. E così anche Chatwin si fa nomade in Patagonia per dare forma concreta ai luoghi e alle storie sognate da bambino.

Ecco, in sintesi, quello che unisce questi due personaggi straordinari: l’aver sperimentato entrambi che sia possibile provare una fede, che è poi un impulso non descrivibile, nulla a che fare con la religione così come la conosciamo, che spinge a compiere “gesti” insensati per l’uomo moderno come il camminare.

Parlando di Cobra Verde, Herzog racconta della lavorazione in condizioni estreme – trattandosi di lui ci saremmo stupiti del contrario. Sul set per brevi periodi era comparso anche Chatwin, nonostante fosse già pesantemente provato dall’Aids. Un rapporto di grande fiducia reciproca, non consueta nel cinema dove spesso volano gli stracci tra autore del libro e regista del film che ne è tratto. Proprio durante la realizzazione di Nomad il regista scopre che Chatwin aveva annotato con appunti e riflessioni una delle ultime sceneggiature di Cobra Verde senza averli mai condivisi con lui. Una bella attestazione di fiducia e rispetto per il lavoro dell’amico Werner.

Ma quello che più tocca, mentre scorrono le immagini, è la sensazione di trovarsi di fronte ad un film sulla memoria di un’amicizia ma, prima di tutto, sulla memoria degli oggetti e della loro capacità di sollecitare sensazioni stabilendo contatti. 
Un potere quasi sciamanico: le emozioni arrivano attraverso gli oggetti costruendo un ponte con ricordi, persone e luoghi. Uno strumento materiale che conserva e restituisce memorie, spinge alla conoscenza e al cammino verso ciò che quegli oggetti evocano. Non è così nelle installazioni di Boltanski? Non era lo stesso per Jonathan Safran Foer con la raccolta di oggetti che imbusta e cataloga in Ogni cosa è illuminata?

Oggetti toccati fin da bambino e per sempre rimasti con tutto il carico di suggestioni. “Ogni oggetto contenuto nella vetrinetta delle curiosità in casa di Bruce rappresentava il simbolo di un luogo che avrebbe voluto visitare”. Così è per un brandello di pelle di un animale preistorico rinvenuto da un lontano parente della nonna in Patagonia nel secolo scorso o la statuetta di un panciuto signorotto vittoriano alla cui base sta scritto quello che potrebbe essere stato il motto di Chatwin: “parto per un lungo viaggio”.