Oltre la rivoluzione. I film saggio di Ansano Giannarelli, in un libro

È “Il cinema saggistico di Ansano Giannarelli” di Antonio Medici (Annali dell’AAMOD, n.19. Editore Lindau), dedicato al lavoro di una vita,  alla profondità ideale, estetica, artistica di questo regista ed intellettuale “irregolare” oggi “sconosciuto ai più”. Non solo “cinema militante” il suo, ma cinema saggistico, “un genere o campo difficile da definire” – scrive Medici – in cui si sono cimentati autori come Marker, Godard, Getino e Solanas, Farocki, Pasolini, Resnais, Rossellini, Welles…

Fatto di acume, tanta competenza ed altrettanto amore per il cinema, il libro di Antonio Medici si prende cura di illuminare adeguatamente il lavoro di una vita e la profondità ideale, estetica, artistica di Ansano Giannarelli (Viareggio, 1933 – Roma, 2011), regista ed intellettuale “irregolare” dei ranghi del cinema italiano, ma anche cofondatore e presidente, tra l’altro, dal 1992 al 2004 dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico (Aamod), oltreché “iniziatore” del Festival del Cinema Giovani di Torino, quello che oggi è il Torino Film Festival. Un cineasta “Probabilmente oggi sconosciuto ai più”, scrive con rammarico, in apertura proprio Antonio Medici.

Di Giannarelli si ricordano e si vedono soprattutto (diremmo “solo”) Sierra maestra (1969) e Non ho tempo (1972), in mezzo a tante altre cose molto meno citate; si tratta di film venuti alla luce entrambi in anni, inevitabilmente politici. Ed infatti: trattasi di cinema che inevitabilmente mettiamo nella casella “militante”.

In Sierra maestra Giannarelli narra con occhio europeo le disavventure di un rigoroso giornalista italiano accusato d’essere un rivoluzionario, in Venezuela. Con Non ho tempo racconta invece, in un film “sperimentale, per la tv e per il cinema, la brevissima vita del geniale matematico Évariste Galois, repubblicano nella rivoluzione del luglio 1830, morto a soli vent’anni in un duello dai contorni ancora confusi.

Antonio Medici, critico, docente, ora coordinatore generale della Scuola d’Arte Cinematografica Gian Maria Volonté di Roma, ha il passo “cadenzato” e “ragionato” del saggista e dello storico del cinema che, lentamente, inchioda alle sue descrizioni e deduzioni; si era già cimentato sull’autore con Cercando la rivoluzione, Ansano Giannarelli: i film, le idee (Donzelli, 2013), ora, con questo nuovo volume, non si “limita” a ragionare di classificazioni e di cinema militante, cosa che, in prossimità della ricorrenza del ’68 (l’anno prossimo scoccherà l’ora fatidica dei 50 anni suonati!), sarebbe stato non diciamo naturale, ma immediato.

Coglie piuttosto l’occasione per dare all’autore maggiore ampiezza e “persistenza”, con riferimento evidente alle leggi dell’ottica. “Penso che Giannarelli meriterebbe una differente attenzione critica, anzitutto per passare da valutazioni impressionistiche o episodiche a una storicizzazione complessiva della sua attività artistica, culturale e politica”, argomenta Medici, per poi proporre per tutto il lavoro di Giannarelli un riferimento più adeguato nel cinema saggistico, “un genere o campo difficile da definire” nel quale però, prosegue Medici, si sono cimentati in modo proprio registi come Marker, Godard, Getino e Solanas, Farocki, Pasolini, Resnais, Rossellini, Welles (tutti nomi indicati dallo stesso Medici).

È Ansano Giannarelli stesso ad individuare l’orizzonte del proprio lavoro nel “film-saggio”, ricordando come esso riguardi sia un metafilm quanto documentari che intenzionalmente siano “cortocircuiti” tra documentari e fiction.

Il “cinema saggistico” in Giannarelli partecipa (in un periodo in cui certo non mancavano “scuole” e “manifesti”, nel cinema e nella letteratura) ad un tentativo “ulteriore” di “dare forma nuova” ai “contenuti nuovi” che nascono in modo abbondante in quell’epoca di forti cambiamenti politici, culturali, sociali. Includendo estetica, semiotica (autoriflessività del linguaggio), ed anche prassi politica.

Questo al di là della divisione tra fiction e documentario; e proprio quando, nei fatidici anni di cui si parla, si pensava che il documentario fosse tout court “la realtà”.

Dicevamo delle tante “scuole” e “manifesti” d’epoca , spesso con “riviste” al traino; basti ricordare le “dichiarazioni” del New american cinema, il gruppo Ciné-Liberation di Solanas e Getino, il manifesto dei cineasti tedeschi, le indicazioni “operative” del cinema dei vietcong, i Newsreels, il Cinema Verità, il Candid Eye canadese, ma anche le acute riflessioni semiotiche di Pasolini e di tanti altri, per capire su quale terreno Giannarelli si muovesse.

Tante scuole, tanti maestri ma anche tanta difficoltà a trovare strade non segnate da un troppo invadente “pregiudizio politico”. “A film politico, giudizio politico”, si diceva in quegli anni in modo tranchant. Giannarelli va, implicitamente, tenacemente oltre: “A nuove idee, nuove forme”.

Nell’introduzione prospettica al suo lavoro Medici inquadra il tema della definizione, classica nelle derivazioni, del “cinema saggistico”, con grande cura. In una lunga lista di contributi, illumina decisamente il percorso analitico la citazione di Jacques Rivette, nella quale a Viaggio in Italia di Rossellini viene riconosciuta la capacità di accedere ad una dimensione saggistica, nello stile di Montaigne. Da qui, per restare alla seconda metà del Novecento, prende l’abbrivio per nobilitare il “genere” ed il lavoro di Giannarelli.

Dei due film citati, ma anche di altri molto significativi lavori, come il cortometraggio 16 ottobre 1943 (1960), sul rastrellamento del ghetto di Roma, candidato all’Oscar, Medici mette minuziosamente in vista già la fase di pre-produzione, di produzione, e via via analizza ogni blocco, con grande attenzione, suscitandone altrettanta in chi legge.

Avendo colleghi, collaboratori ed amici a vario titolo, molto autorevoli (Zavattini, con cui lavorò nell’innovativo doc I misteri di Roma, Fernando Birri, Marcello Gatti, fotografo di Sierra maestra, Sanguineti, Piero Nelli e Marina Piperno, coi quali fondò la REIAC Film) e numi tutelari: Camilo Torres, Regis Debray, Giannarelli ha dedicato il suo lavoro, saggistico e politico, alle rivoluzioni e alle tragedie latino americane, al recupero della memoria della Resistenza, al ruolo dei comunisti nella nascita del nostro paese e al suo sviluppo, raccontando la difesa della democrazia in Italia, ed anche l’Africa del post colonialismo e le sue contraddizioni.

Togliendo dall’ “episodico” Ansano Giannarelli, grazie a questo suo importantissimo lavoro, Antonio Medici dà anche nuova, più resistente ai tempi, qualità proprio ad una larga fetta di cinema; quella che frettolosamente, in modo talvolta liquidatorio, va sotto la definizione di “cinema militante”, che ha rischiato l’estinzione (ma solo “rischiato”, e aggiungeremmo, per fortuna) a causa del suo stesso “peso”, ad un “impegno” davvero ragguardevole non sempre sostenuto da un’adeguata capacità artistica e di conoscenza del “mezzo”.