Ora che sotto l’occhio del Fratellone ci viviamo, ricordiamo George Orwel. In un doc (su laF)

In onda su laF il 27 gennaio per celebrare il Giorno della memoria “Orwell 2.0 Il lato oscuro del progresso” documentario di Sabina Bologna e Anna Migotto dedicato allo scrittore di uno dei libri più letti al mondo: “Millenovecentottantaquattro“. Attraverso testimonianze di illustri filosofi, politoligi ed esperti di privacy una riflessione sulla capacità profetica dell’allarmato autore britannico. Oggi che viviamo sotto l’occhio del “Fratellone” e assediati da fake news, da sempre ottimo concime per dittature di ogni tipo. Propagande costruite sulla menzogna e per questo, a volte, più potenti delle bombe …

 

Per rinfrescarci la Memoria, e celebrare il suo giorno, laF (Sky 135) propone (ore 21.10) un doc diretto da Sabina Bologna e Anna Migotto su Eric Arthur Blair, ovvero George Orwell. Nome d’arte che il giovane, futuro autore di uno dei libri più letti al mondo, ha indossato in omaggio al suo re Giorgio e a un fiume, appunto l’Orwell.

Il libro è ovviamente Millenovecentottantaquattro, scritto nel 1948 e pubblicato l’anno dopo, sei mesi prima di morire, a 47 anni per tubercolosi, a Londra il 21 gennaio del 1950.

Realizzato da 3D produzioni ed EFFE TV per LaF, Orwell 2.0 Il lato oscuro del progresso si avvale, come è ormai in uso in ogni doc, di testimonianze e pareri di intellettuali illustri, storici, filosofi, politologi, tra cui David John Taylor, suo biografo, Antonio Scurati, ripreso con alle spalle la sua libreria costellata dal suo nero M, ma anche dell’interpretazione di Elena Russo Arman, nel ruolo della prima moglie.

E inoltre delle riflessioni di esperti di privacy e cyber-sicurezza.
Questo per ricordarci quanto il lavoro dell’allarmato Eric Arthur George sia stato, com’è noto (ma ricordare non è mai abbastanza), premonitore di quello che viviamo adesso: controllati dall’ occhio del “Fratellone” e assediati da fake news, da sempre ottimo concime per dittature di ogni tipo. Sempre e comunque pronte a reprimere un pensiero diverso. Propagande costruite sulla menzogna e per questo, a volte, più potenti delle bombe.

Cosa vien fuori da questo racconto? Il ritratto di un giornalista, saggista e scrittore che questi rischi li ha documentati instancabilmente.

Anche con quella favola, La fattoria degli animali, suo primo grande successo internazionale, pensata nel ’37, ma poi scritta in tre mesi da novembre del ’43 e rifiutata dagli editori inglesi più realisti del re che temevano il rischio di disturbare i buoni rapporti diplomatici con l’Unione Sovietica. Insomma che Napoleon, il maialone a capo della Rivoluzione delle bestie sfruttate contro l’umano padrone, somigliasse troppo a Stalin.

Fu pubblicato perciò solo nel ’45. Preceduto da altre opere: Giorni in Birmania, Senza un soldo a Parigi e Londra, Omaggio alla Catalogna tutte autobiografico-politiche, e da due romanzi e due saggi.

Ma viene fuori anche il ritratto di un “hombre vertical”, uno che non si china. Inorridito, com’è stato, dal colonialismo quando è tornato in Birmania seguendo le ombre del padre, ma anche dall’esperienza di guerra a Barcellona contro Franco, il falangismo e non solo: la liquidazione degli anarchici e la divisione della sinistra. Una pallottola alla gola lo farà rientrare. Gli appunti sulla Catalogna gli verranno sequestrati dal KGB e lui si auto-esilierà per sei mesi con la moglie in Marocco.

Era nato in India nel 1903 ma a un anno è già con la madre in Inghilterra.
Tra gli snob della scuola, sente di appartenere alla fascia più bassa della fascia più alta del ceto medio. E prova disagio. Timido, da ragazzino, ma molto brillante. Sempre straniero nel proprio mondo e tempo. Insomma un vero anticonformista.
“Sono il figlio ordinario di un uomo straordinario”. Si presenta così Richard Horatio Blair, l’amatissimo figlio adottato neonato nel 1944. Che il padre lo perderà a sei anni, dopo aver perso a solo un anno anche la madre adottiva, Eileen O’Shaughnessy, che definiva così suo marito Arthur-George: “Un mammo: adorava Horacio. Era un naturalista sentimentale. Ma mai banale. Limpido anche nella scrittura, come un mattino d’inverno”.

Col suo Millenovecentoquarantotto, che non ha un lieto fine, si occupa anche di noi: continua a metterci in guardia. Chi conosce i nostri pensieri ha la possibilità di controllare e dominare la nostra vita.
Lo dice a noi che con gli smartphone, come prolungamento dell’Io, il Fratellone, cioè il Male, ce lo portiamo sempre addosso. Anche in casa.
Ma penso che, soprattutto in un’epoca di narcisismo sfrenato, sia una battaglia persa. Da sempre l’uomo sente il bisogno di un occhio che dall’alto lo guarda, lo domina e guida, e gli promette anche nell’aldilà un radioso futuro.
A volte pure con un mucchio di belle ragazze.