Walkiria, Mirella e le altre. “Bandite”, la resistenza nella resistenza delle donne, in un doc

 

È in streming gratuitamente fino al 26 aprile sulla piattaforma Open DDB, il documentario Bandite di Alessia Proietti e Giuditta Pellegrini e vale proprio la pena di andare a rivedere le facce e riascoltare i racconti delle sei partigiane intervistate perché viene fuori con molta chiarezza un’assenza piuttosto vistosa nelle celebrazioni e anche negli studi della Resistenza ed è il contributo delle donne.

Banditen è il modo in cui i tedeschi chiamavano i partigiani e bandite sono ovviamente le donne che parteciparono alla lotta, ma bandite le donne lo sono state due volte, come sottolinea il film: durante la guerra e dopo quando il loro contributo è stato ridimensionato, svilito o più semplicemente rimosso. Hanno ottenuto il diritto a votare, non tutta la libertà per la quale hanno combattuto.
Le sei partigiane che danno voce al film sono: Walkiria Terradura di Gubbio, Mirella Aloisio di Genova, Annita Malavasi di Reggio Emilia, Viera Geminioni di Alfonsine, in provincia di Ravenna, Silvana Guazzaloca di Bologna e Bianca Guidetti Serra di Torino.

Non solo staffette, cuoche, madri e sorelle. Se il ruolo di maternage delle donne è stato diffuso e ampio nelle cascine di campagna dove trovavano rifugio le formazioni partigiane e in città, in tante 35 mila calcola il documentario, (e ancora più, 70 mila erano nei gruppi di difesa delle donne, fondati a Milano nel ’43) hanno consapevolmente scelto di assumersi dei rischi e che rischi. “Per sviare i sospetti dovevamo renderci il più femminile possibile” spiega Bianca Guidetti Serra, nome di battaglia Nerina di Torino.

Racconta Annita Malavasi, nome di battaglia Laila, di Reggio Emilia: “Io avevo un bel petto, ci stava bene una pistola dentro, e le altre me le legavo alla cintura”. Oppure Valkiria Terradura, partigiana di Gubbio: ”Ho fatto saltare tre ponti e mi ha molto entusiasmato perché era una cosa nuova”.

Le donne riuscivano a passare dove gli uomini sarebbero stati fermati e allora toccava a loro portare le armi sui luoghi delle azioni militari liberando gli uomini, che le impugnavano solo per lo stretto tempo necessario, da una buona parte del rischio. Se venivano scoperte lo stupro tra le torture era la norma. Ne parla con calma Viera Geminioni, nome di battaglia Minny. Ed è una delle pochissime che ha avuto il coraggio di farlo. Accanto alle testimonianze delle partigiane tre storiche, Marina Addis Saba, Paola Zappaterra e Cinzia Venturoli.

Neanche una parola di commento, solo interviste intervallate da immagini di repertorio, e dai titoli dei capitoli. Le interviste in parte di archivio si alternano a testimonianze di oggi. Sedute sul divano ci casa, o accanto alle foto dei nipoti queste donne che hanno fatto l’Italia sono tornate alle loro vite e non sempre hanno ricevuto il riconoscimento che meritavano.

Qualche mese fa un’ amica di passaggio a Londra, di fronte al monumento eretto in pieno centro alle donne della II guerra mondiale ha detto “Sarebbe bello ci fosse qualcosa di simile anche da noi”. Sono andata a cercare in internet i monumenti alle donne partigiane: si contano sulle dita di una mano: a villa Spada a Bologna c’è un muro con il nome su delle 128 partigiane che hanno perso la vita in provincia, a Castel Bolognese era partita una raccolta fondi nel 2018, sarà andata a buon fine? a Venezia un monumento alle partigiane combattenti c’era: è stato distrutto nel 1961 da una carica di tritolo, sostituito con quello di una partigiana morta ma il meccanismo che lo sostiene in laguna non funziona bene… A Vighignolo nel milanese avevano dedicato una statua a Giulia Lombardi, partigiana uccisa a 22 anni: le hanno dato fuoco alla vigilia dello scorso 25 aprile.