Nella “stanza delle meraviglie”, molti sbadigli

In sala dal 14 giugno (per 01 Distribution), “La stanza delle meraviglie”, titolo italiano di “Wonderstruck“, il nuovo film dell’americano Todd Haynes, adattamento dell’omonimo racconto per ragazzi a firma Brian Selznick (quello di Hugo Cabret). Ricostruzioni d’epoca magnifiche e, a sorpresa, un finale di cinema d’animazione. Ma nel complesso la storia regala molti sbadigli. Passato in concorso a Venezia 2017 …

Delusione Todd Haynes. Il geniale (e raffinatissimo) regista americano di Lontano dal paradiso e Carol arriva di nuovo in concorso ma senza emozionare. Anzi, provocando lunghi sbadigli.

E pensare che c’era grande attesa per questa sua nuova avventura con le radici nel mondo dell’infanzia, che prende le mosse dal libro per ragazzi, La stanza delle meraviglie (in Italia La stanza segreta per Mondadori) di Brian Selznick, lo stesso scrittore di quell’Hugo Cabret che ha fatto innamorare Martin Scorse (e pure i giurati dell’Oscar).

Al centro della storia due ragazzini che “dialogano” a distanza, attraverso due archi temporali. Il 1927 di Rose, ragazzina sordomuta e di buona famiglia, in cerca dell’amore della madre attrice, troppo presa dal suo lavoro. E il 1977 di Ben, un ragazzino che la mamma l’ha persa in un incidente stradale – ora vive con gli zii – e il papà non l’ha mai conosciuto.

Entrambi nella propria epoca si ritroveranno a New York, quella del cinema muto e in bianco e nero di Rose e quella coloratissima e affollatissima di neri del Queens di Ben, dove sul finale – che non riveliamo – i due si incontreranno, con un inatteso passaggio al cinema di animazione che, finalmente, fa provare un tiepido brivido di emozione tra le spalle dello spettatore.

Nel mezzo c’è la passione per i diorama, quei plastici che popolano i musei di scienze naturali e che annoverano schiere di estimatori in tutto il mondo. E che in questo caso serviranno al piccolo Ben come traccia per scoprire l’identità di suo padre.

Todd Haynes grande pittore di paesaggi ed epoche, anche questa volta non è da meno. Le “due” New York ricostruite nel film sembrano a loro volta dei diorama nati dalle mani dei più abili artigiani. Ma la fascinazione è tutta lì, come quelle palle di neve che si girano per vedere imbiancare l’oggettino incollato dentro.

Pura fascinazione per lo sguardo, insomma (e per carità il cinema è anche questo), perché la storia non arriva mai a decollare. Persino Julianne Moore, la sua magifica “musa”, stavolta sfigura con una parrucca da nonna.

Todd Haynes ha definito La stanza delle meraviglie “un acido per ragazzini”. Ma forse i ragazzini di oggi usano cose più forti