“ZeroZeroZero”, niente di nuovo sul fronte Saviano-Sky
“ZeroZeroZero” in onda su Sky Atlantic (e sul servizio in streaming Now Tv) dal 14 febbraio. Gli otto episodi dell’attesa serie tratta dal bestseller di Roberto Saviano. Ennesima variazione sul tema “Gomorra” e “Suburra” che non sa reinventarsi, risultando la già ben nota crime story in cui perdersi senza riflettere sulla realtà del narcotraffico…
Il format non è cambiato: è ancora un successo letterario di Roberto Saviano il punto di partenza (ZeroZeroZero, edito da Feltrinelli), è ancora Stefano Sollima a curare la regia (questa volta accanto a sé ha altri due colleghi però, l’argentino Pablo Trapero e il danese Janus Metz) ed è ancora Sky a produrre la serie e a mandarla in onda.
È dall’apparizione di Romanzo criminale che ormai le nostre televisioni, così come il grande schermo, sono state letteralmente invase da malviventi di ogni sorta, pronti a portare il grande pubblico all’interno delle comunità criminali. Che si tratti di una curiosa forma di voyeurismo da ventunesimo secolo? Difficile dirlo.
Certo è che ZeroZeroZero punta dichiaratamente a seguire il solco tracciato dalla sua sorella maggiore Gomorra. Nella nuova serie, prodotta assieme a Sky da Cattleya e Bartlebyfilm, la storia è quella del travagliato viaggio di una certa partita di cocaina, così da triplicare i fronti: ai criminali nostrani si affiancano i loro venditori messicani e gli intermediari negli USA.
Siamo dunque di fronte a tre linee narrative separate, ma ben intersecate fra loro. Oltre che all’allargamento del set a cinque nazioni (Italia, Louisiana, Marocco, Messico e Stati Uniti), ognuno con i propri personaggi principali e i propri conflitti interni.
Il potere è il vero motore della storia, tutti vogliono controllare il carico così da sfruttarlo per il proprio tornaconto. Sia all’interno del clan ‘ndranghetista, dove si genera la solita lotta intestina, sia tra i narcos messicani che si avvalgono della collusione di un sergente dell’esercito, sia nella famiglia di armatori americani. Tra le interpretazioni spiccano quelle di Gabriel Byrne e Andrea Riseborough, rispettivamente padre e figlia a capo della compagnia statunitense.
È indubbio che le tre trame siano ben congegnate, sono appassionanti di per sé e si rafforzano con la loro interconnessione, dando un ritmo tutto sommato godibile agli episodi. Eppure, senza spingersi verso i soliti allarmismi sul rischio emulazione dei “cattivi”, appare evidente la distanza fra lo sguardo critico del libro e il taglio della serie.
Se lo scopo di Saviano era indagare su un mercato che è capace di centuplicare l’investimento iniziale di un singolo in un solo anno, il lavoro televisivo eredita molto poco di quello spirito, appena qualche affermazione messa in bocca al personaggio di Byrne (“Siamo noi a tenere in piedi l’economia globale”).
Dell’intento di mettere in luce quel “fiume bianco che scorre impetuoso sotto le nostre città” (parole dello scrittore stesso) non traspare nulla, ci si limita a cavalcarlo, sfruttarlo il più possibile, spingendo l’acceleratore sul marketing, tanto da aprire a Milano un temporary store per mostrare da vicino tutti i segreti dei narcos, compreso come si inzeppano di coca pelouche e affini.
Regia, sceneggiatura, fotografia non si spingono mai oltre il seminato, si fanno trovare dove sanno che lo spettatore appassionato li aspetterà. Il risultato è che questi primi due episodi, presentati già in estate a Venezia senza particolare entusiasmo, probabilmente incontreranno il favore del pubblico amante del genere, ma difficilmente potranno catturarne di nuovo. La linea crime continua a pagare in termini economici, ma a livello artistico sembra essere congelata in un immobilismo esasperante.
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.
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