Con gli occhi di una bimba nella fabbrica dei veleni

È “Plastica, storia di Donato Chirico operaio petrolchimico” il romanzo-testimonianza di Rosangela Chirico dedicato al padre, morto di tumore dopo molti anni di lavoro alla Montedison di Brindisi. Un soggetto ideale per il cinema, se il nostro fosse più coraggioso…

thumbnail_24404Certo che sul petrolchimico di Brindisi ce n’è di letteratura. Pure Renato Curcio, sì il fondatore delle Br, ha dato recentemente alle stampe  Il pane e la morte. Lo scambio salute-lavoro nel polo industriale brindisino. Ma si tratta per lo più di testi inchiesta, quaderni di studio e ricerca che dicono ormai, dati scientifici e processi alla mano, dell’enormità della strage che si è consumata ai danni degli operai, delle loro famiglie e dell’ambiente circostante.

Rosangela Chirico quando tutto questo accadeva era una bambina. Quella grande fabbrica dove lavorava il papà Donato, per lei lei era una immensa torta, gli “omini blu” i fabbricanti di dolci e le ciminiere le candele. Solo molti anni dopo Rosangela, dopo aver accompagnato fino all’ultimo il padre, stroncato da un cancro epatico, avrebbe capito che non si trattava di dolcetti e la sua ricerca di verità e giustizia sarebbe diventata la battaglia della sua vita.

Una  battaglia dura, lunghissima, tenace, tra avvocati, giudici, medici, ex operai. Così come racconta in Plastica, storia di Donato Chirico operaio petrolchimico (Kurumuny Edizioni, pag.168, 13 euro) un diario-inchiesta, che trova la sua originalità proprio nella dimensione lirica, privata, di testimonianza.

“Tra ricordi altalenanti, dal presente al passato e dal passato al presente” Rosangela ci accompagna nel quotidiano di una famiglia operaia, come scrive Cecilia Mangini nella postfazione. Raccontandoci di Donato, entrato alla  Montecatini poi Montedison, come tanti in quegli anni pronti a inseguire il sogno industriale di un Sud cronicamente povero.

Donato operaio ma soprattutto padre amorevole, attento, premuroso. I ricordi di lui in campagna, tra gli ulivi, cedono il passo via via che Rosangela cresce a quelli dei suoi ritorni: la tuta blu “avvelenata” portata in casa e lui sempre più stanco, stanchissimo “come fosse rientrato da una sorta di combattimento. Come fosse stato dentro un ring”.

E che ring. Spesso Donato veniva spostato dal suo reparto alla pulizia delle autoclavi. “Mostri metallici” alla temperatura di 30, 40 gradi, da scrostrare dai residui di Pvc con scalpelli e martelli. “Enormi patacche” che al momento del “distacco liberavano i vapori soporiferi di un gas siglato Cvm”: cloruro di vinile monomero, il killer, il responsabile del tumore di Donato e della lunga infinita lista di morti causati dai processi di trasformazione del petrolio.

Quando Donato inizia ad ammalarsi Rosangela è già grande. Quelle sigle, quei composti chimici, un tempo misteriosi ora le appaiono in tutta la loro drammatica verità. “La plastica continua ad essere prodotta – conclude nel suo libro – (…). I petrolchimici di tutto il mondo sono sempre in marcia” continuando ad avvelenare il mondo e a strozzare gli uomini col ricatto del lavoro. Perché è questa la “nostra terza guerra mondiale – scrive Mario Desiati nella prefazione – , la più cruenta, perché sul suo altare hanno versato il sangue migliaia di padri di famiglia, che sapevano di essere operai, ma ignoravano di essere in guerra”.  A tutti loro è dedicato il libro di Rosangela Chirico, più che un romanzo necessario un ottimo soggetto da portare al cinema. Se il nostro cinema avesse più coraggio.