“L’ora d’acqua” vince il Working Title Film Festival. Ecco tutti i premiati

Si è conclusa Vicenza la quarta edizione Working Title Film Festival, rassegna al cinema sul lavoro. Il massimo riconoscimento va a “L’ora d’acqua” di Claudia Cipriani: storia di Mauro, sommozzatore a grandi profondità, che vuole recuperare le navi affondate, anche la Costa Concordia. Di seguito tutti i premi. Una manifestazione ricca, con cinque giorni di proiezioni, che può diventare un punto di riferimento nei festival italiani…

Si è conclusa il 5 ottobre a Vicenza la quarta edizione di Working Title Film Festival, festival del cinema del lavoro, diretto da Marina Resta (qui la nostra intervista), che ha ospitato nella città berica, da martedì primo ottobre a sabato sera, trenta registi e professionisti del cinema provenienti da dieci Paesi oltre all’Italia.

La giuria della sezione di concorso WTFF ha assegnato il premio per il miglior lungometraggio a Claudia Cipriani per il documentario L’ora d’acqua. La regista milanese, scrivono i giurati Ilaria Fraioli e Claudio Casazza nelle motivazioni, “racconta un mestiere inusuale e mai veramente visto al cinema, quello del palombaro, e ci riesce fondendo realtà e immaginazione. Realizza così un film quasi di avventura, di quella interiore e fantasiosa, dove la leggerezza dell’infanzia ci fa vivere un mondo in cui l’acqua è un elemento vitale per la vita e l’immaginazione, e nella visione della regista è anche utero materno sempre vivo”.

Nel dettaglio, L’ora d’acqua racconta la storia di Mauro, sommozzatore sotto le piattaforme petrolifere a grandi profondità. Egli vive in una camera iperbarica di otto metri quadri e respira elio per la maggioranza dell’anno: a un certo punto si rende conto di essere stufo della vita sulle piattaforme e cerca di realizzare il suo sogno di bambino, recuperare le navi affondate. Una di queste si chiama Costa Concordia.

Premio per il miglior cortometraggio a Am Cu Ce – Pride della tedesca Hannah Weissenborn i cui protagonisti sono camionisti romeni costretti a lavorare oltre il consentito, sacrificando le ore di sonno, per stare al passo con i ritmi sfiancanti della logistica. “Il film – scrive la giuria – riesce a rappresentare una questione di grande attualità come la contraddizione tra ragionevolezza, esigenze di mercato e bisogni umani”.

Menzioni speciali al lungometraggio Drømmeland dell’olandese Joost van der Wiel – su un uomo che fugge dalla civiltà per vivere tra i monti della Norvegia con il suo cavallo, ma senza rinunciare alla tecnologia del suo smartphone – e al cortometraggio Hoa di Marco Zuin, documentario su una guaritrice tradizionale vietnamita.

Nella sezione Extraworks – dedicata al cinema sperimentale, ibrido, e alla videoarte – la giuria formata da Ilaria Pezone e Riccardo Palladino ha assegnato il primo premio a Being and becoming di Maite Abella, spagnola residente nei Paesi Bassi, che riflette, si legge nelle motivazioni, “sull’immagine che ci si crea di se stessi, come aspettativa personale e sociale, mettendo in discussione l’autenticità dei propri sogni e desideri”.

Menzione speciale a Mitten dei belgi Olivia Rochette e Gerard-Jan Claes, che “filma il lavoro artistico/culturale, spesso impalpabile, senza artifizi”. Venti i film in concorso: dai documentari, film di finzione e ibridi, proiettati al Cinema Odeon, fino ai lavori più visionari e non-narrativi ospitati nell’ultima giornata nella sezione Extraworks allo spazio Zerogloss. Prima mondiale per Cold Blow Lane, un “neo-noir” ambientato a Londra con l’attrice Susan Lynch. In anteprima, tra gli altri, si è visto anche Di acqua, di fuoco e quello che resta di Matteo Ninni.

Il festival si è aperto il primo ottobre alla Bottega Faustino con la presentazione del libro La dissolvenza del lavoro. Crisi e disoccupazione attraverso il cinema da parte dell’autore, il giornalista e critico cinematografico Emanuele Di Nicola, che racconta le pellicole sul tema della crisi del lavoro degli ultimi 20 anni, dai disoccupati ballerini di Full Monty fino all’anziano lavoratore schiacciato nei labirinti del welfare contemporaneo protagonista di I, Daniel Blake di Ken Loach. Dopo la quarta edizione, dunque, il Working Title Film Festival si conferma una manifestazione in crescita, intelligente e vitale, che può diventare una stella importante nella galassia dei festival italiani.