Dalla parte delle vittime, semplicemente. Il pugno di Ozon contro i preti pedofili in Francia
In sala dal 17 ottobre (per Academy Two), “Grazie a Dio”, l’ultimo flm di François Ozon, gran premio della giuria all’ultima Berlinale. Un film durissimo che colpisce allo stomaco, accompagnandoci nelle esistenze sconvolte delle vittime del “caso Preynat”, il prete francese accusato di oltre 70 abusi sessuali nei confronti di ragazzini. Il punto di vista è quello delle vittime, sono loro i protagonisti, gli eroi coraggiosi… Assolutamente da vedere …
Peccato. Purtroppo nelle sale, a partire dal 17 ottobre, distribuito da Academy Two, ne andranno soltanto 50 copie. C’è da sperare che, come è accaduto altre volte, sia il passa parola fra il pubblico a decretare il successo di un film che merita davvero di essere visto.
Si tratta di Grazie a Dio, del francese François Ozon, qui giunto alla sua ventesima prova dietro la macchina da presa, gran premio della giuria al 69esimo festival di Berlino, salutato in Francia dalla critica e premiato soprattutto dal milione di biglietti staccati dal pubblico per andare a vederlo.
Un film che a nostro giudizio merita di essere visto per diverse ragioni.
La prima: di sicuro è un film duro, molto duro, che colpisce lo stomaco come un pugno. Si tratta infatti del tema drammatico di abusi su minori, bambini che vengono marchiati a fuoco per tutta la vita da violenze che ne segnano l’equilibrio. Ma i casi raccontati dal film sono reali. Le persone di cui si parla sono reali come i loro nomi. I fatti accaduti sono reali.
Sono quelli emersi a Lione pochissimi anni fa, a partire dal 2016, attorno al cosiddetto “caso Preynat” dal nome del sacerdote, Bernard Preynat, incriminato e posto sotto controllo giudiziario con l’accusa di avere aggredito sessualmente oltre 70 vittime. Così si esce dal generico “abuso” che può voler dire tutto e niente.
Qui, senza nessunissima concessione al voyerismo, si vedono ragazzini di otto, dieci anni, chierichetti, scout, adocchiati, chiamati, presi per mano da sacerdoti e portati verso il martirio fra sorrisi untuosi e false cortesie. Niente di più. Ma è sufficiente a rendere l’idea dell’orrore che li aspettava.
Ci sono poi le testimonianze raccolte fra le vittime dalla polizia a spiegare con tutti i crudi dettagli raccapriccianti cosa accadesse in quelle sacrestie o dentro quelle tende. Per gli eventuali benpensanti che volessero ostinarsi a negare la realtà, ce ne dovrebbe essere a sufficienza.
Tutto è iniziato quando Ozon si è imbattuto nel sito “La Parole Liberée” creato appunto dalle vittime di abusi subiti da parte di uomini della Chiesa. È rimasto colpito in particolare dalla storia di Alexandre, un cattolico fervente che aveva taciuto fino a 40 anni. Ma quando ha scoperto che Preynat continuava a stare fra i ragazzi nonostante fosse già nota la sua pedofilia, ha deciso di uscire allo scoperto.
A quel punto ha cominciato a cercare un dialogo coi vertici della diocesi e con lo stesso Arcivescovo, il Cardinale Barbarin. Ha scritto perfino, senza risposte, al Papa. Cosa ha ottenuto? Belle parole, rassicurazioni e promesse, condanne dei colpevoli ma sempre a parole, senza gesti concreti come denunce all’autorità giudiziaria o drastici provvedimenti canonici. Fino a che, stanco del muro di gomma, ha deciso di ricorrere alla giustizia ordinaria provocando l’esplosione pubblica dello scandalo. Per i successivi dettagli non c’è che da andare a vedere il film.
La seconda ragione per andare a vederlo. Si tratta di un film sugli abusi perpetrati sui bambini da parte di preti. Ma attenzione, non è un film anticlericale, genericamente contro La Chiesa; è un film che mette sotto accusa alcuni comportamenti di alcune persone in certi casi. Anzi direi che è un film che dovrebbe interessare soprattutto i cattolici per maturare giudizi e soprattutto comportamenti in ordine di un problema, meglio uno scandalo, di portata mondiale.
“La mia intenzione” spiega chiaramente il regista che ricorda l’educazione cattolica ricevuta in gioventù “non è mai stata di esprimere una condanna nei confronti della Chiesa ma di indagare le contraddizioni interne e la complessità del caso”. Più esplicito, nel film, uno dei personaggi coinvolti nella denuncia: “sto facendo questo per e non contro la Chiesa”. E non a caso Alexandre è un cattolico praticante con moglie e quattro figli che vanno regolarmente a messa.
Non così gli altri due protagonisti, François e Emmanuel, (il primo si dichiara apertamente ateo) impegnati assieme a lui nella costruzione del sito che ha contribuito a rompere la diga del silenzio spingendo tanti abusati a uscire allo scoperto. Ma ugualmente la loro è stata solo una battaglia per la verità e la giustizia. Non hanno mai chiesto abiure alla Chiesa, volevano che si schierasse dalla parte delle vittime; chiedevano che Preynat fosse punito. Che Barbarin si pronunciasse chiaramente con i fatti e che non lo coprisse in nome del bene – ritenuto colpevolmente preminente – della istituzione. Talmente colpevole, il Cardinale, al punto di arrivare a pronunciare una vera bestemmia quando in conferenza stampa, commentò che “Grazie a Dio” (la frase che dà il titolo al film) la maggior parte dei casi era caduta in prescrizione.
La terza ragione. Non è una nuova inchiesta giornalistica, il seguito di Spotlight, per intendersi, il film inchiesta sugli abusi perpetrati nella diocesi di Boston, (il film, regia di Tom Mc Carthy vinse l’Oscar nel 2016) portato alla luce da un gruppo di coraggiosi giornalisti del Boston Globe che smascherarono gli orrori avvenuti nel silenzio complice del cardinale Bernard Low.
Il punto di vista in Grazie a Dio è quello delle vittime. Sono loro i protagonisti, gli eroi coraggiosi. In questo caso i fatti sono noti e accertati fin dal primo momento. La suspense del film non è costruita sulla colpevolezza di Preynat o della Chiesa ma piuttosto sulla battaglia di un piccolo gruppo di uomini per portare alla luce la loro storia e farla diventare un caso nazionale. La stampa, i media, non sono stati dunque i protagonisti. Sono stati strumenti usati consapevolmente per far deflagrare lo scandalo. Poi, solo successivamente lo hanno gestito in proprio.
La quarta infine. La straordinaria bravura degli attori. Tutti da citare: Melville Poupaud nel ruolo di Alexandre Guérin; Denis Menochet in quello di François Debord; Swann Arlaud in quello di Emanuel Thomassin. Ma bravi, per citarne solo altri due, Bernard Verley- Bernard Preynat e Françoise Marthouret-cardinale Barbarin in ruoli, specie il primo, decisamente non facili da assumere.
Prove, tutte, di assoluto professionismo. Ma, hanno ammesso gli attori che hanno dato il volto alle vittime, si sono talmente calati nella parte che hanno fatto proprie le sofferenze delle persone che hanno interpretato, pur caratterizzandole in modo originale e non ricalcandone i comportamenti.
Per concludere alcune note di cronaca a luglio di quest’anno. Padre Preynat oltre che essere incriminato e incarcerato è anche stato ridotto allo stato laicale. Il cardinale Barbarin è stato condannato a sei mesi con la condizionale per “omessa denuncia di maltrattamenti” per essere stato a conoscenza e non aver rivelato le aggressioni sessuali su minori di 15 anni e per non aver fornito assistenza alle vittime. Philippe Barbarin ha presentato al Papa le sue dimissioni che non sono state accettate, (in un eccesso di garantismo, nda) in attesa della sentenza di secondo grado.
Dal 2018 la prescrizione di questi reati è stata elevata in Francia da 20 a 30 ani.
Nel novembre del 2018 118 i vescovi francesi hanno votato l’istituzione di un comitato indipendente incaricato di indagare sulla pedofilia nella Chiesa dal 1950.
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