L’irresistibile farsa femminista di François Ozon. In apertura dei Rendez-vous del cinema francese
Sarà l’apertura scoppiettante della XIII edizione dei Rendez-vous del cinema francese il 29 marzo al Nuovo Sacher di Nanni Moretti a Roma. È “Mon crime. La colpevole sono io!” nuovo folgorante film di François Ozon, libero adattamento dell’omonima commedia anni Trenta, da tempo dimenticata, scritta a quattro mani dagli sceneggiatori Georges Berr e Louis Verneuil. Il film, irresistibile, è una commedia poliziesca sofisticata che mette in scena situazioni rocambolesche, bizzarre e arricchite da dialoghi taglienti e ritmo incalzante. Che mette in scena l’arte della menzogna e del #MeToo …
Sarà Mon crime. La colpevole sono io, ventiduesimo lungometraggio di François Ozon, che inaugurerà il 29 marzo la XIII edizione di Rendez-vous, il festival dedicato al cinema francese, in programma fino al 3 aprile. La kermesse apre i battenti, come ogni anno, a Roma, al Cinema Nuovo Sacher, dove il regista – insieme alla protagonista principale, Nadia Tereszkiewicz, già interprete l’anno passato della commedia drammatica Les Amandiers – presenterà il film che farà poi tappa, con sezioni speciali e ospiti, alla Cineteca di Bologna, al Cinema Massimo di Torino, negli Instituts Français di Milano e di Palermo.
In Mon crime, che arriverà nelle sale italiane il 25 aprile con Bim e che vanta un cast stellare composto, oltre che dalla protagonista, da Rebecca Marder, Isabelle Huppert, Fabrice Luchini, Dany Boon e André Dussolier, Ozon ci propone una scoppiettante e sofisticata commedia poliziesca che mette in scena situazioni rocambolesche, bizzarre e inaspettate arricchite da dialoghi taglienti e ritmo incalzante.
Nella Parigi degli anni Trenta, Madeleine Verdier, un’attrice giovane e graziosa ma priva di talento e soprattutto di ingaggi e di denaro, viene accusata dell’omicidio del celebre e libidinoso produttore Montferrand, dal cui portafogli sono scomparsi 300.000 franchi, incassati la mattina stessa, pare, alla presenza del suo ragioniere.
Chi può essere l’assassino se non l’ultima persona ad averlo incontrato? Madeleine, per l’appunto, che si era recata a un appuntamento con il produttore in una lussuosa villa nel ricco sobborgo di Neuilly, nella speranza di ottenere un ruolo e aveva respinto le sue avances. In seguito, sconvolta, aveva vagato per ore nelle strade. L’ispettore Brun (Fabrice Luchini) interroga tutti quanti hanno incontrato la vittima prima dell’assassinio, e giunge alla più ovvia delle conclusioni: la colpevole non può essere altri che la squattrinata Madeleine.
Con l’aiuto dell’amica e convivente Pauline (Rebecca Marder), giovane avvocata anch’essa disoccupata, l’aspirante attrice si appropria letteralmente del delitto, fino a brandirlo come uno stendardo di virtù e di difesa dell’onore e dei diritti delle donne; viene pertanto assolta per legittima difesa.
Per Madeleine comincia così una vita di fama, prosperità e successo; diviene una vera icona femminista, che ha ucciso per la dignità di tutte le donne, finché la verità non viene a galla… e la narrazione si ribalta: fa irruzione sulla scena Odette Chaumette – un’insuperabile Isabelle Huppert – diva del cinema muto ormai relegata nell’oblio – indignata della popolarità che ha travolto le due ragazze grazie alla pubblicità mediatica legata al processo… Odette compare agghindata dai fronzoli del cinema di inizio secolo: ma, precisa Ozon “è una sopravvissuta di un’altra epoca, di uno stile di teatro magniloquente, una perenne messa in scena di se stessa: i suoi abiti raccontano tutto questo”.
Il film è un libero adattamento dell’omonima commedia, da tempo dimenticata, scritta a quattro mani dagli sceneggiatori Georges Berr e Louis Verneuil e rappresentata nel 1934 nel mitico Théâtre des Variétés, creato nel 1807 sul boulevard Montparnasse: due amiche, un’aspirante attrice e un’avvocata a corto di cause, con il loro senso dello spettacolo, prendono in giro la patriarcale società francese fra le due guerre, mettendo in scena l’arte della menzogna e del #MeToo: “È importante che questo film si svolga negli anni ’30 perché l’argomento da me affrontato, ai nostri tempi, avrebbe richiesto un film molto più drammatico – spiega Ozon – . Quindi la mia storia è la premessa a tutto ciò che sta accadendo oggi grazie al movimento femminista e alla denuncia della violenza contro le donne. Credo sia interessante guardarla con gli occhi di oggi e vedere che anche negli anni ’30 era tutto molto complicato e che le donne forse trovavano modi leggermente trasgressivi per cavarsela”.
Ha quindi trasformato la pièce assicurandosi che “risuonasse con l’oggi, con le nostre attuali preoccupazioni, e anche con le mie in relazione all’influenza degli uomini in generale sulle donne”. Dopo lungometraggi di grande impatto, tra cui Grazie a Dio (2019) sui casi di pedofilia a lungo nascosti dalla Chiesa, Mon crime costituisce la terza parte di una trilogia sulla condizione femminile avviata con 8 donne e un mistero (2001) e La bella statuina (2010).
Ozon ha inteso realizzare un film sulla “sincerità nella menzogna”, ovvero “su una cattiva attrice che diventa brava grazie a una grossa bugia, dichiarata nel testo scritto dalla sua amica avvocato”. Anche perché “il cinema parlante mi è sempre sembrato l’arte della menzogna per eccellenza, e da tempo, intendevo narrare la storia di un o una falsa colpevole”. Ne risulta un film scherzoso, tenero, ironico, che volge all’assurdo, pur conservando una parte di teatralità.
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