Hitchcock/Truffaut, ora è anche un film

In sala il 4, 5 e 6 aprile il doc di Kent Jones dedicato allo storico incontro tra i due cineasti. A 50 anni dall’uscita di  “Il cinema secondo Hitchcock”, una ricostruzione filologica della nascita del libro-vangelo per cinefili e, soprattutto, un ritratto del “maestro del brivido”, attraverso le testimonianze dei registi di oggi…

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Il 13 agosto 1962 un regista francese trentenne, François Truffaut, incontra un regista inglese che quel giorno compie 63 anni, Alfred Hitchcock. L’occasione è fargli un’intervista. I due si siedono l’uno accanto all’altro, con in mezzo un’interprete, e iniziano a dialogare tra loro. Quattro anni dopo, nel 1966 esce uno dei libri sul cinema più importanti della Storia: Il cinema secondo Hitchcock (Le cinéma selon Alfred Hitchcock) di François Truffaut. Cinquant’anni dopo, nel 2016 arriva nelle sale italiane Hitchcock/Truffaut, il documentario di Kent Jones che ricostruisce forma e sostanza di quell’incontro. In sala per tre giorni il 4, 5 e 6 aprile per Nexo Digital (leggi qui dove vederlo) e Cinema di valerio De Paolis.

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Jones parte dalla premessa, la concezione dei due cineasti in quegli anni: un giovane che ha già girato I 400 colpi, osannato ai festival, e un maestro assoluto dai risultati commerciali altalenanti, scambiato per artigiano e ancora disconosciuto dalla critica, clamorosamente, malgrado l’investitura “pesante” dei Cahiers du Cinéma (la celebre copertina dei Cahiers dedicata al regista è di agosto-settembre 1956).

L’incontro/confronto si sviluppa su questa linea, con la pellicola che ne mostra le foto in bianco e nero e fa sentire le registrazioni delle loro voci, restituendo anche foneticamente il senso di un dialogo che supera subito l’intervista per diventare conversazione sul “mondo”. Non a caso, in una sorta di simbolica osmosi, si opera una sovrimpressione tra le parole di Hitchcock e i fotogrammi dalle opere di Truffaut. Come reperto storico, ascoltare il timbro di François e Sir Alfred ci conferma l’immediata e profonda intesa tra le due figure: una comunanza che avviene sempre in nome del racconto per immagini, il luogo che abitano entrambi, che si propone come scandaglio a due voci sulla frequentazione di un’arte, mantenendo rigorosamente questa come protagonista.

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Il documentarista propone una ricostruzione filologica dell’evento, l’incontro, che condurrà poi all’amicizia tra i registi, allo scambio di lettere, alla reciproca visione e riflessione sui film dell’altro: “Il tuo Adele H. ha una perfetta fotografia”, scrive in una missiva Hitchcock, che incassa dal collega i complimenti all’uscita di Complotto di famiglia.

Il film, nell’arco di 80 minuti, sfiora aspetti dell’intera carriera hitchcockiana e snocciola aneddoti, tutti più o meno noti, dalla scena del bacio in Notorius al conflitto con Montgomery Clift sul set di Io confesso. La ricostruzione è filologica, corretta, non sorprende chi conosce il testo.

Ma il lavoro merita la visione anche per un altro motivo, la scelta di Kent Jones di interrogare i registi dell’oggi: da Martin Scorsese a Wes Anderson, da Paul Schrader a Olivier Assayas, che esplicitano il loro rapporto col maestro, ammettono debiti più o meno trasparenti, descrivono un Hitchcock secondo loro (James Gray: “Kim Novak che esce dal bagno in Vertigo è la scena più bella della Storia del cinema”, Assayas: “Lo guardi e capisci che le sue inquadrature non sono materiche, bensì spirituali”). David Fincher percorre implicitamente l’ascendenza dal regista già tutta contenuta in Gone Girl.

Peccato manchi De Palma, il grande “reinstallatore” di Hitch nel contemporaneo, ma per questo legame si rimanda al doc De Palma di Noah Baumbach e Jake Paltrow. Qui, invece, si omaggiano i registi del titolo, separati e uniti solo da uno slash (/) che potrebbe essere il cinema.