Le invenzioni di Casares. Quel naufrago che ha sedotto il cinema, in tutte le versioni (anche tv)
Fatelo, approfittando anche del semi-lockdown, (ri)prendete in mano quell’opera osannata dai monumenti della letteratura che è “L’invenzione di Morel” del grande scrittore argentino, Adolfo Bioy Casares, amico e collaboratore di Jorge Luis Borges. Un’omaggio al cinema, per sua stessa ammissione che, infatti, il cinema ha riletto più e più volte. Di seguito le varie versioni (anche da vedere) e una preghiera alla casa editrice, Sur, che ha ristampato il libro: “Date nuovamente alle stampe quell’altro capolavoro assoluto e irreperibile di Bioy Casares che è Il sogno degli eroi“…

Se Jorge Luis Borges, mica uno qualsiasi, ti scrivesse in prefazione che L’invenzione di Morel, l’opera narrativa che hai scritto tra la metà e la fine degli anni trenta, quando avevi poco più di vent’anni, «no parece una imprecisión o una hipérbole calificarla de perfecta», rischieresti una sincope per l’emozione. Ma tu sei Adolfo Bioy Casares, incassi riconoscente l’elogio dell’immenso amico-maestro e a ventisei anni, nel 1940, lo pubblichi e diventi il secondo più grande scrittore argentino. Il primo, ça va sans dire, resta Borges.
Borges è il maestro dei meccanismi narrativi più precisi e complessi di un orologio svizzero, ma non si frena nel riconoscere il libro “perfetto” per la costruzione di una storia di incredibile complessità e stracolma di riferimenti alla letteratura, alla filosofia e a tutto quanto lo scibile umano possa aver mai prodotto. E in poco più di un centinaio di pagine.
È con L’invenzione di Morel che Bioy Casares da allievo del maestro ne diventa praticamente un pari. L’opera, però, ampiamente osannata da monumenti della letteratura, è stata a lungo sbrigativamente – fastidiosamente – catalogata alla voce fantascienza, un po’ come mettere L’ Aleph borgesiano sullo scaffale del fantasy. E Le mille e una notte come le cataloghiamo? Tra lo scrivere fantascienza e lo scrivere usando l’artificio del fantastico ce ne corre un bel po’. E poi perché questi incasellamenti inutili? Vabbè…ma questo discorso va ripreso.
Comunque, il libro uscito originariamente per Bompiani, nel 2007 è stato meritoriamente riedito dall’editore SUR, che ha già in catalogo anche Dormire al sole e Chi ama, odia, quest’ultimo scritto con la moglie Silvina Ocampo.
La trama, ossessivamente pensata e cesellata fino ai minimi dettagli è solo in apparenza abbastanza semplice: un prigioniero evade e naufraga su di un’isola che ritiene, sulle prime, deserta. Nel paesaggio desolato scopre una villa abbandonata – il Museo – la cui piscina decrepita è un ricettacolo di serpenti e altri animali che gli provocano sensazioni ripugnanti. Ben presto, però, si scopre che la casa è abitata da una strana compagnia di villeggianti, tra i quali Morel, il proprietario inventore di un misterioso aggeggio somigliante ad una macchina da presa cinematografica.
Il Naufrago li segue mentre chiacchierano annoiati, mentre ballano, si abbronzano. Appaiono lontani da ogni preoccupazione, spensierati come vorrebbe la regola di ogni vacanza. Il Naufrago (non ha nome nel testo), che di nascosto spia il gruppo, si innamora di Francine, una di loro, la ragazza che ogni giorno va a vedere il tramonto. Quando trova il coraggio per avvicinarla si rende però conto che lei non lo vede e non lo sente, come se lui non esistesse materialmente.
Di lì inizia la sua indagine ossessiva sul motivo di quella inspiegabile stranezza e cosa stia accadendo su quella strana isola. Scoprirà così una verità sospesa tra realtà e irrealtà, tra il mondo reale e la sua immagine rappresentata. Sull’isola poi, splendono due soli e due lune (che anche Murakami abbia piluccato da Bioy Casares scrivendo 1Q84?). Ma fermiamoci qui, il rischio-spoiler è alto. L’unica cosa sensata da fare è leggere il libro e magari anche più di una volta per cogliere quanti più dettagli del complesso congegno narrativo.
Bioy Casares disse di considerare il testo come un omaggio al cinema. Però con l’intenzione di chi esalta e mette in discussione nel contempo, avanzando la tesi per cui il mondo delle immagini finisce per instillare dubbi e sgretolare il mondo reale. Il fascino per la tecnologia e la seduzione delle immagini, nel libro, divorano il narratore. Seduzione e morte, suggerisce il romanzo, diventano ambivalenti promesse di modernità attraverso la tecnologia.
Ma la tecnologia è rappresentata come un artefatto capace di uccidere l’individuo, per poi resuscitarlo artificialmente rendendolo eterno nell’archivio di quelle simulazioni che chiamiamo immagini. Per il filosofo Paul Virilio il cinema è, nel Novecento, un’industria spettrale “alla ricerca di nuovi vettori nell’aldilà”. La fotografia e il cinema sono archivi il cui tema centrale è la sopravvivenza dei morti.
Questo era il concetto, tra i tanti, sul quale ragionava Adolfo “Adolfito” Bioy Casares, poco più che ventenne, negli anni ’30 del secolo scorso, molto prima della tv e prima di internet. E quando il cinema aveva su per giù una quarantina d’anni.
Sono tali e tante le simbologie e le evocazioni, per non dire del sottotesto, che, se rese esplicite, avrebbero costretto l’autore a dare alle stampe non le centotrenta pagine de L’invenzione di Morel ma un’ opera sterminata come un’Enciclopedia Britannica. Tuttavia il lavoro di decodifica lo hanno svolto altri per lui. Sul libro sono stati scritti saggi critici in quantità e varietà, tante sono le materie e i punti d’osservazione possibili che ne derivano.
Nemmeno il cinema, che ha ampiamente pescato da libri e racconti dello scrittore argentino, ha potuto evitare di restare impigliato in questa tela di ragno inesorabile tessuta da Bioy Casares.
L’anno scorso a Marienbad (vedilo qui) di Alain Resnais, con la sceneggiatura e i dialoghi di Alain Robbe-Grillet, Leone d’oro a Venezia nel 1961, è dichiaratamente ispirato al romanzo dello scrittore argentino.
L’Invention de Morel (vedilo qui) è invece il film del 1967, versione dell’opera per la tv francese, di Claude-Jean Bonnardot.
Ancora in tv, più di recente, il libro è molto più di una fonte di ispirazione per le sei stagioni della serie di culto Lost.
Anche Emidio Greco gira la sua versione cinematografica de L’invenzione di Morel (vedila qui) con un cast di tutto riguardo che vede tra gli altri Giulio Brogi (il Naufrago), Anna Karina (Faustine), John Steiner (Morel). Il film è stato presentato alla Quinzaine a Cannes nel 1974.
L’opera di Greco rende molto efficacemente il clima rarefatto e claustrofobico mantenendo fitto il mistero, pur con qualche eccesso di stile. Tuttavia, tra gli addetti ai lavori, sono molti quelli che parteggiano per la trasposizione televisiva di Bonnardot sostenendo che rispetti maggiormente il testo dello scrittore argentino, nonostante la fattura francescana da sceneggiato televisivo di metà anni ‘60. A voi decidere, se vi va, ma prima leggete Bioy Casares. Tutto.
PS: Una preghiera personale alla casa editrice SUR: Vi prego, Vi scongiuro, potreste trovare il modo di ristampare quell’altro capolavoro assoluto e irreperibile di Bioy Casares che è Il sogno degli eroi? La mia copia, tomo della gloriosa collana Il Pesanervi Bompiani, potrebbe disintegrarsi da un momento all’altro. Grazie.
Gino Delledonne
Gino Delledonne
Architetto e docente universitario a contratto. Ha collaborato alle pagine culturali di vari giornali tra i quali "Diario" e "Archivio". Devoto del gruppo garage punk degli Oblivians.
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