Indovina chi mangio a cena? Il ritorno dei cannibali su piccolo e grande schermo

Dal tanto premiato “Bones and All”di Luca Guadagnino all’esordio di Julia Ducournau, “Raw” passando per le serie “Dahmer ” o “Yellowjackets”. I cannibali tornano di moda su grande e piccolo schermo. Ricordando il capostipite, il censuratissimo film culto “Cannibal Holocaust” di Ruggero Deodato recentemente scomparso …

 

 

“Sono due gli aspetti che maggiormente mi interessano quando si parla di cannibalismo” spiega il regista Luca Guadagnino, all’indomani del successo ottenuto a Venezia col suo Bones and All: “Uno è l’istinto cui i giovani protagonisti si oppongono, sfidando la loro stessa natura e dando il via ad una lotta morale. Il secondo è l’eredità, ciò che lasciamo dietro di noi, ciò che resta dopo che scompariamo perché qualcuno ci ha distrutto il corpo”.

Tratto dall’omonimo romanzo di Camille DeAngelis, l’ultimo film di Guadagnino è una storia di amore e di morte, che ha per protagonisti due adolescenti, per l’appunto cannibali (Taylor Russell e Timothée Chalamet). Dalle spiccate tinte horror, Bones and All non teme di mostrare una crudezza e una violenza perfino rivoltanti, sfidando anche gli stomaci più allenati degli spettatori. Il regista palermitano ha così riportato in auge un sottogenere che, sempre al fianco dell’horror ma sottotraccia, ha proseguito come un fiume carsico il suo percorso sino ad arrivare al grande pubblico dei cinema occidentali.

Pensiamo alla lettura femminista della regista Mimi Cave in Fresh, disponibile su Disney Plus, o al serial killer cannibale di Dahmer su Netflix e, ancora, alle “bulle” di Yellowjackets su Sky Atlantics che non risparmiano neanche il cranio dei loro sventurati compagni di viaggio. Eppure qual è il film che ha dato il via al genere? E perché gli spettatori di oggi prediligono la carne umana? Ma, soprattutto, dobbiamo considerarlo un fenomeno circoscritto all’Occidente o oltrepassa i confini nostrani?

Il nostro viaggio nel tempo ha inizio con il film più censurato della storia che valse al regista recentemente scomparso Ruggero Deodato, altrimenti detto “monsieur cannibal”, ben quattro mesi di carcere. Ci riferiamo, naturalmente, a Cannibal Holocaust del 1980. Ad essere rappresentate sullo schermo sono morti cruente, tra cui non mancano reali uccisioni di animali che valsero non poche critiche all’uscita della pellicola in sala. Possiamo solo immaginare oggi quello che accadrebbe: i movimenti animalisti riserverebbero al regista lo stesso trattamento.

La bravura di Deodato sta certamente nel rappresentare l’olocausto cannibale con la tecnica del falso documentario, il mockumentary, in modo da accrescere il pathos e il realismo, ma soprattutto nella feroce critica che monsieur cannibal riserva al sistema capitalistico, alla sua tendenza a maciullare i corpi e a privarli della loro essenza vitale. È infatti esattamente questo aspetto che lo rende un unicum nel mare magnum di quel periodo, quando questo sottogenere stava decollando.

Per quanto divisivo, il film è un classico del genere horror ed è ancora oggi fonte d’ispirazione per grandi registi come Tarantino e per remake di successo come Green Inferno di Eli Roth. Facendo una critica all’occidente e al suo perbenismo, Deodato mostra cosa accade quando vengono meno le fragili regole che tengono su le società moderne e l’uomo è finalmente libero di assecondare i suoi più bassi istinti. Questione che non manca di affascinare un regista come Guadagnino, ma non solo.

Anche in Yellowjackets ritroviamo la medesima critica e la volontà di mostrare il vero volto dell’essere umano, senza quella maschera che è solito indossare. La serie, composta da due stagioni, parla di quattro ragazze che, scampate ad un incidente aereo, per sopravvivere non hanno alcuna scelta che cuocere sul fuoco e divorare i corpi degli altri passeggeri morti, per poi riprendere le loro vite come fosse niente.

Eppure, quello spuntino continuerà a pesare sulla loro vita da adulte, divenendo un inconfessabile segreto. Non si tratta, però, di emarginati come in Bones and All e in Dahmer, ma di ragazze sulla cresta dell’onda, di bullette che hanno imparato a farsi strada nella giungla di tutti i giorni divorando le carcasse dei nemici. E, abituate a questa dieta, non stupisce che abbiano messo in pratica ciò che facevano solo in teoria.

Ma perché proprio adesso, in quest’epoca post-Covid, si è manifestato negli spettatori un tale malsano interesse per la carne umana? A rispondere è Ryan Murphy, regista della serie televisiva, firmata Netflix, Dahmer – Il Mostro, per cui l’attore Evan Peters ha vinto il Golden Globe, recitando nei panni del serial killer cannibale: “Credo che molte persone abbiano visto la serie – spiega il regista – perché sono molto più interessati alla salute mentale e iniziano a farsi domande sulla presunta bontà del prossimo”. Insomma, siamo davvero buoni o dobbiamo esserlo? Un problema che era già stato sollevato da Deodato e che adesso sprona moltissimi spettatori ad indagare con ritrovato sospetto alcuni meccanismi del reale che, magari, sfuggivano al loro occhio indagatore.

Anche nel 2016, in ben due film si è adoperata l’antropofagia per muovere una radicale critica alla società occidentale e al suo sfrenato cannibalico consumismo, appunto. In Neon Demon, film di Nicolas Winding Refn, si assiste nel finale ad una scena di questo tipo ai danni della protagonista, quasi che volesse assorbirne la bellezza e l’unicità. Il suo corpo viene smembrato e distribuito ai presenti, con un rituale che si potrebbe addirittura accostare alle immagini dell’ultima cena.

Il secondo film è Raw esordio di Julia Ducournau (nelle foto), vincitrice della Palma d’oro con Titane del 2021. Qui la regista francese sfrutta il tema del cannibalismo per polemizzare contro il consumo e l’abuso di carne animale, e sensibilizza il pubblico facendogli conoscere dal vivo una cannibale. Chissà quante costolette di maiale lasciate intonse dopo la visione.

Eppure, è Fresh, se vogliamo, l’erede più diretto dei due film in cui la critica alla società lascia ben poco spazio all’immaginazione. Il cannibalismo diviene metafora della mercificazione della donna in Occidente, della tendenza tutta maschile a sezionare (simbolicamente e non) e divorarne parti del corpo, a collezionarle, congelarle e mangiarle durante pranzi e cene, da soli o in compagnia. Come del resto parecchi anni prima, nel 1991, aveva fatto Sergio Castellitto col bianco e burroso corpo di Francesca Dellera ne La carne del visionario Marco Ferreri. È si sa che gli uomini, certi uomini, non hanno problemi a digerire tutto.