Jane Campion riscopre “Il potere del cane” di Thomas Savage. E torna al Lido con un western fratricida
È toccata a Venezia 78 l’anteprima mondiale di “The Power of the Dog”, adattamento dell’omonimo romanzo di Thomas Savage firmato Jane Campion (unica regista donna Palma D’Oro a Cannes) di ritorno al grande schermo con il western sui generis dei fratelli Burbank con Benedict Cumberbatch e Kirsten Dunst. La routine taciturna di due ricchi rancheros, un matrimonio scomodo a stravolgerla per sempre e il Montana anni ’20 omofobo e machista dove il fumo delle pallottole è rimpiazzato dai colpi bassi di un agonismo fratricida…
Assente da dieci anni dalle locandine, la cineasta neozelandese Jane Campion (unica Palma D’Oro donna nella storia della Croisette con Lezioni di piano) torna quest’anno in laguna per l’anteprima mondiale di The Power of the Dog, attesissimo adattamento targato See-Saw Films tratto dell’omonimo romanzo di Thomas Savage in corsa a Venezia 78.
Una distribuzione Netflix (perciò snobbata a Cannes, che invita da protocollo solo pellicole in uscita nelle sale locali) che porta alla ribalta un caso editoriale lasciato in sordina al suo debutto nel 1967, e che a mezzo secolo di distanza promette di ritrovare sul grande schermo la verve abbacinante dei grandi classici attraverso i volti plastici di Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst, Jesse Plemons ed Elisabeth Moss.
L’incetta di premi a Cuaron col suo Roma (2018) e per Storia di un matrimonio nel 2019, fa ben sperare infatti per quest’ennesima produzione lanciata dal sodalizio tra il Lido e il colosso americano dello streaming, che sembra annunciare anche stavolta passeggiate ricche di riconoscimenti tra i festival mondiali dedicati alla settima arte.
Ma a intrigare è più di tutto una sceneggiatura non originale che rispolvera un western sui generis tutto sentimenti e niente rivoltelle: 1924, due fratelli rancheros (a cui la grana non manca affatto) immersi nella vita scorticante e taciturna del vecchio Montana, gestiscono da quarant’anni la tenuta di famiglia intrecciando cuoio duro e portando a spasso mandrie di manzi tra i profili aspri di valli rocciose e gli irti colli del mitico Ovest americano.
Un equilibrio severo e rude, quello dei Burbank – Phil sfrontato e svelto, nelle mani e nella testa di “bracciante alfa”, George ombroso, mite e muto, amante del quieto vivere – saldato dalle dita robuste del tempo e roso di colpo dall’unione segreta tra George e Rose Gordon, vedova chiacchierata per quel suo figlio “senza carattere” a cui piace intagliare fiori di carta (Peter), effeminato nelle movenze del fisico gracile e così poco giusto per il provincialismo omofobo e machista del Montana anni ’20.
La donna e quel ragazzo strambo diventano così eterni ospiti indesiderati del ranch, entrambi guastafeste di quei rituali fraterni, faticati e “maschi” in cui non trovano spazio alcuno, bersagli perfetti delle invettive di un Phil rancoroso sociopatico a cui i sentimenti fanno orrore. Un matrimonio vissuto come un tradimento a regola d’arte che innesca una torbida spirale di malefatte familiari dove il fumo delle pallottole da Far West è rimpiazzato dai colpi bassi di un agonismo fratricida di sangue e di cuore, d’amore e di vergogna.
Una crociata d’odio e d’invidia in cui si annida tutto l’inconfessabile sentire umano, reso ancora più vivido dalla prosa di un Savage egli stesso mandriano, cresciuto proprio tra quei paesaggi sconfinati e materici dello Utah che parlano alle volgarità di spiriti solitari alle prese con pensieri e sessualità represse (l’autore in primis si scoprirà omosessuale in età adulta). Spiriti solitari come i cani che costellano il romanzo (da cui il titolo del libro), le cui sagome si scorgono persino nei contorni duri delle colline, come belve pronte all’inseguimento della preda a ricordare la legge più antica del mondo.
Rispolverato dagli archivi statunitensi solo di recente e di nuovo in circolazione in Italia nell’edizione Neri Pozza tradotta da Luisa Corbetta, Il potere del cane (insieme a La regina delle greggi, altra fortunata fatica di Savage in pieno revival editoriale) riporta in auge il realismo sentimentale, crudo e asciutto nella prosa, di un autore che in vita non ha fatto in tempo a far parlare di sé e che oggi invece si accomoda di diritto tra i grandi della narrativa contemporanea.
Una trama turbolenta e vera di cui si discute e si continuerà a discutere in vista della proiezione veneziana, che con la zampata drammatica di Jane Campion – maestra di drammi al femminile zeppi di sussulti e frustrazioni e affondi psicologici in amori e dolorose ossessioni (vedi Un angelo alla mia tavola e Ritratto di signora) – saprà sicuramente sorprendere…
Francesca Eboli
Specializzanda in English and Anglo-American Studies a La Sapienza, appassionata di cinema e teatro, aspirante giornalista
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