La falsa (ri)partenza dei cinema italiani. E le proteste degli esercenti
La riapertura delle sale il prossimo 27 marzo rischia di essere soltanto simbolica. Gli esercenti e gli addetti ai lavori, nella maggioranza dei casi, temono che la decisione del ministro Franceschini – che, Covid pemettendo, punta alla riapertura di cinema e teatri proprio nella Giornata mondiale del teatro, altro settore colpito dalla crisi – non porterà alla ripartenza necessaria auspicata dall’intero settore, dopo un anno di chiusure (con riaperture ad intermittenza tra giugno e ottobre).
Intanto saranno solo le regioni gialle (come da Dpcm del 6 marzo) a riaccendere le luci delle sale. Il cinema è nelle mani dei tecnici del Comitato tecnico scientifico e di un protocollo di regole strettissime: sale occupate al 25% della loro capienza, massimo di 200 spettatori e coprifuoco alle 22. Una riapertura incerta e mal organizzata secondo le associazioni di categoria. D’altro canto, vista da autori e registi è comunque un inizio, a fronte di un anno da maglia nera: incassi scesi del 71,3 % e film ridotti a meno della metà.
Gli esercenti lamentano che le riaperture parziali non serviranno neanche a far uscire i nuovi film (bloccati ormai da un anno). Ad iniziare dall’Associazione degli esercenti (ANEC) che chiede nuovi ristori e, soprattutto, che si vada avanti velocemente col piano vaccinale.
Ancora per gli esercenti, stavolta dell’UECI, sono sbagliate le tempistiche, i modi e la scelta di una data talmente “anacronistica” da farla cadere nei giorni del possibile picco di contagi: a confronto, appare incomprensibile la chiusura dello scorso ottobre. Tra calo di spettatori in sala e decisioni che si basano su dati altalenanti, una riapertura così si trasformerebbe “in eutanasia”. Per salvare il settore occorre altro, a partire dal coinvolgimento delle associazioni, le vere conoscitrici del mercato cinematografico.
Il dibattito si arricchisce di voci: gli attori di U.N.I.T.A. (guidati da Vittoria Puccini) chiedono di trattare con più attenzione lo spettacolo mentre i distributori di ANICA (la Confindustria del cinema) reclamano maggiore stabilità decisionale – condizione necessaria per lanciare nuove produzioni – ed una riapertura omogenea, non limitata da zone gialle “a macchia di leopardo” e dal coprifuoco. Dunque, tornare in sala sì, ma che ne valga economicamente la pena.
Un primo assaggio di riapertura l’ha offerto la FICE, i cinema d’essai: l’8 marzo proiezione nelle 500 sale associate dell’omaggio al coraggio delle donne, tra documentari (Santa subito e Nilde Iotti il tempo delle donne), e lungometraggi (Vogliamo anche le rose e Cosa dirà la gente).
La lunga chiusura dei cinema ha cambiato modi e luoghi di visione dei film. Le sale, cuore pulsante della filiera cinematografica, hanno ceduto il passo – definitivamente? – ai colossi dello streaming (Netflix in testa). E lo spettatore, spodestato dalle poltrone dei cinema, si è dovuto accontentare del solitario salotto di casa, rinunciando così “alla fruizione collettiva del film”, come sottolinea Francesco Ranieri Martinotti, presidente dell’Anac, storica associazione degli autori che al tema ha dedicato il convegno La sala, il sale del cinema, .
Altra conseguenza: le chiusure hanno interrotto la proiezione delle nuove uscite. Eppure non sono mancate produzioni che sono ripartite – come il ritratto di Eduardo Scarpetta (interpretato da Toni Servillo) in Qui rido io di Mario Martone – e film girati completamente in piena pandemia (usciti via streaming) come Lei mi parla ancora di Pupi Avati.
Di certo, la riapertura tanto attesa quanto discussa delle sale italiane sarà tra le prime in Europa. Gli spettatori inglesi torneranno al cinema più tardi, il 17 maggio, ma con restrizioni meno stringenti (capienza del 50% per le sale e 1000 posti occupati). Qui al contrario gli esercenti, di fronte agli avanzamenti della campagna vaccinale, chiedono di anticipare la riapertura delle sale, ormai chiuse da gennaio.
La data di una possibile riapertura manca del tutto in Francia. La Société des Réalisateurs de Film (SRF) ha affidato la propria preoccupazione ad una lettera pubblicata su Le Monde, denunciando la chiusura delle sale e la crisi del settore, “le cui conseguenze si faranno sentire per i prossimi due o tre anni”.
Per ora gli unici ad essere rientrati in sala (il 5 marzo) sono stati i newyorkesi. Tra i primi film a riconquistare il grande schermo c’è Tenet di Christopher Nolan, dopo tre rinvii ed un’uscita parziale comunque da record, con i suoi 58 milioni di dollari incassati. Tuttavia, per gli esercenti non basta: i produttori lamentano che, con una Broadway sigillata, le potenzialità redditizie vengono quasi azzerate, con sale riempite massimo al 25%. D’altro canto, la riapertura è l’unico modo per spronare la produzione di nuovi film secondo Adam Aron (CEO di AMC Theatres, la più grande catena di cinema del mondo) mentre per gli esercenti Usa (NATO) riaprire New York darà fiducia “ai distributori nel fissare e mantenere le date di uscita”. Anche oltreoceano il cinema in sala fa rumore e genera polemiche.
Vedremo cosa accadrà da noi il 27 marzo. Soprattutto con la terza ondata della pandemia in corso.
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