“L’Alligatore”, un western padano a ritmo di blues. La fiction irregolare di Daniele Vicari

Dal 18 novembre su RaiPlay e dal 25 novembre su Rai2 in quattro serate, “L’Alligatore” mini serie Fandango-Rai con la supervisione artistica di Daniele Vicari (che si alterna alla regia con Emanuele Scaringi). È la prima volta in tv del celebre detective senza licenza, nato nel ’95 dalla penna di Massimo Carlotto (qui coinvolto nella sceneggiatura). Un western padano a ritmo di blues, irregolare in tutto come il suo stesso protagonista (col volto di Matteo Martari). Una bella boccata d’aria nuova non solo per la fiction Rai …

 

Un western padano a ritmo di blues. Irregolare in tutto. Per il personaggio, un detetective senza licenza e appena uscito di galera (anche se condannato ingiustamente). Per il suo scrittore, tradotto in tutto il mondo, ma che da noi in certi ambienti sconta ancora il suo passato di militanza extraparlamentare e una persecuzione giudiziaria radicata negli anni di piombo. E irregolare ancor di più per gli standard Rai, non solo della fiction, qui al confronto con buon cinema, di quello che magari a trovarlo nei tanti titoli nostrani, figurarsi in tv.

Non c’era modo migliore, insomma, di festeggiare i 25 anni de l’Alligatore, anti-eroe noir, nato dalla penna di Massimo Carlotto nel ’95, passato attraverso 9 romanzi (e/o edizioni) e un graphic novel ed ora alla prova della serie tv. Sì di questo parliamo, della mini serie Fandango-Rai, scritta da Andrea Cedrola e Laura Paolucci con la collaborazione dello stesso Carlotto, in onda su RaiPlay dal 18 novembre e poi in quattro serate su Rai2 dal 25 novembre.

Daniele Vicari si alterna alla regia con Emanuele Scaringi (suo La profezia dell’armadillo), ma soprattutto firma la “supervisione artistica” che per una volta, diciamolo, se la Rai usasse l’espressione inglese di showrunner, meglio renderebbe giustizia del tanto più impegno e cura passo passo che c’è dietro.

Del resto l’imprinting del regista di Diaz – Non pulire questo sangue (tra l’altro tra i titoli più in voga su Netflix di questi tempi) si sente. Meglio, si vede tutto. Cominciando dal volto televisivo di poliziotti e affini di Matteo Martari, qui trasformato in quello da irregolare, ferito dentro, alcolico e azzecatissimo Marco Buratti, l’Alligatore.

Il suo soprannome da rettile delle paludi, rende bene la sua capacità di muoversi nel sommerso, tra le acque lagunari del delta padano, tanta nebbia, umidità, esondazioni (bello l’uso del repertorio) e il sommerso del malaffare, della finanza criminale che è tutt’uno con la politica. Paesaggi da western alla periferia di Padova, dove Marco Buratti si muove a ritmo di blues (splendide le musiche di Theo Teardo), sua antica passione (lo cantava il blues) lasciata da parte per inseguire la verità, ad ogni costo. Anche a scapito della legalità, pur di incastrare i bastardi di turno. Che poi sono i soliti potenti.

Senza armi per scelta, l’Alligatore si appoggia a Beniamino Rossini (col volto perfetto di Thomas Trabacchi) che di armi hai voglia se ne ha. È un ex compagno di galera e un bandito di quelli di una volta, con un suo codice d’onore e un amore. L’amore di Marco Buratti invece se n’è andato (Valeria Solarino) ma non è detto che un altro non possa arrivare (Eleonora Giovanardi). Entrando nel suo letto e sorprendendo per la delicatezza fuori dai soliti clichè (al maschile) delle scene d’intimità.

Completa la band de l’Alligatore, Max detto La Memoria (Gianluca Gobbi), un giornalista dall’archivio imbattibile in fatto di poteri forti, che come sanno i lettori di Carlotto viene da trascorsi extraparlamentari (anche lui) qui aggiornati a tematiche più contemporanee (e comprensibili anche ai più giovani) come l’ambientalismo militante, vero filo rosso delle indagini del protagonista, contro l’industria criminale che avvelena e stupra il territorio, complice la politica, come già detto.

Da dire ancora, invece, l’originalità della lingua, il veneto che aggiunge alla serie un’ulteriore particolarità, a fronte del gomorra style che ha imposto i dialetti del Sud come lingua di riferimento della serialità crime.

Una bella boccata d’aria nuova, insomma, l’Alligatore di Vicari. Riuscito per aver rubato il cuore a quello di Carlotto. Buon compleanno, quindi, al Marco Buratti di tutti e due.