Leonesse contro l’ingiustizia. Venezia 79 è ancora donna e (un po’) italiana con Guadagnino
Leone d’oro a sorpresa al documentario “All the Beauty and the Bloodshed” dell’americana già premio Oscar Laura Poitras che denuncia i misfatti della potente casa farmaceutica produttrice dell’ossicodone. Gran Premio della Giuria al racconto tutto al femminile “Saint-Omer” di Alice Diop a cui va anche il Leone del futuro. Luca Guadagnino è il miglior regista, mentre a Jafar Panahi va il Premio Speciale della giuria. Filo rosso del palmarès le lotte per i diritti, combattute soprattutto dalle donne. “Siamo tutti antifascisti” saluta dal palco il brasiliano Pedro Harres, vincitore nelle sezione Venice Immersive…
Ha scelto le vie della bellezza e del sangue, la giuria di Venezia 79 capitanata da Julianne Moore, e di qualcosa che è in grado di tenerle insieme: la lotta. Il titolo del documentario Leone d’oro, All the Beauty and the Bloodshed, diretto dalla statunitense premio Oscar Laura Poitras, vuol dire proprio questo. Ma non è un caso che sangue e bellezza siano due parole perfette anche per il letterario Bones and All di Luca Guadagnino, unico degli italiani tra i premiati.
Lotte per i diritti, soprattutto. Agguerrite e determinate, spesso al femminile. Perché le donne non taceranno mai più, come ha ribadito nel suo potente discorso la giovane di origini senegalesi Alice Diop, vincitrice con il suo Saint-Omer del Gran Premio della Giuria, del Leone del Futuro Premio Venezia Opera Prima (Luigi De Laurentiis) e anche del premio collaterale Edipo Re. E perché il mondo ha bisogno di voci che non abbiano paura di levarsi contro le ingiustizie.
Il documentario di Poitras ne è l’esempio. La sua protagonista, Nan Goldin, è tra le icone del mondo underground statunitense degli anni ’70 e ’80, ma ha dedicato la seconda parte della sua vita all’attivismo, fino a far rimuovere da tutti i più grandi musei del mondo il nome della famiglia Sackler, rea di aver contribuito in larga parte all’epidemia di dipendenza da ossicodone. Un richiamo all’etica dell’arte, che la Mostra e la giuria hanno scelto di far loro.
Tutta la schiera di leoni alati, a dire il vero, appare come una serie di grida d’allarme su vari fronti. Il miglior film ci parla in fondo delle case farmaceutiche, che dopo due anni e mezzo di pandemia hanno ormai consolidato il loro potere economico. Ma c’è spazio anche per l’integrazione mai realmente compiuta tra paesi colonizzatori e colonizzati che è al centro di Saint-Omer. E per le dittature sempre più sfacciate e repressive, come l’Iran de Gli orsi non esistono di Jafar Panahi, Premio speciale della giuria.
Forse solo il Bones and All di Luca Guadagnino, premio per la regia e per la miglior interprete esordiente (Taylor Russell), cerca meno di guardarsi intorno e si concentra sulla sua storia fuori dal recinto del “normale” (“C’è un posto per i mostri” dice il regista dal palco). Era il film italiano su cui si puntava di più e alla proclamazione del Leone d’argento non sono stati in pochi a farsi scappare un gesto o una parola di rammarico.
Italiano, poi, si fa per dire e per continuare a tenere testardamente alta la bandiera di un cinema che da questa Mostra esce sconfitto, con i suoi limiti ben in vista. Il film di Guadagnino è sì di un regista italiano, ma ha tutto il resto con base negli Stati Uniti. Anzi, buona parte dei vincitori, fatta esclusione per Diop e Panahi, sono a stelle e strisce. Segno che Moore ha voluto mantenersi fedele al cinema in cui si è formata.
Le due Coppe Volpi sono andate a interpreti di primissima fascia di Hollywood. Cate Blanchett da un lato, alla seconda vittoria a Venezia dopo quella per Io non sono qui nel 2007, grazie al ruolo della direttrice d’orchestra dispotica in Tár di Todd Field. E Colin Farrell dall’altro, protagonista bravissimo dell’irlandese The Banshees of Inisherin di Martin McDonagh, che si porta a casa anche un meritatissimo premio alla sceneggiatura.
Venezia 79 si chiude insomma con la voglia di ruggire per i diritti negati, ma anche con la grande industria che fa man bassa. Non è da trascurare, però, che Netflix non abbia ottenuto quest’anno nemmeno un premio. Né che per la terza volta di fila il Leone d’oro sia andato nelle mani di una regista donna. Il vento sta cambiando e le ali dei leoni sembrano averlo intuito.
Una sola cosa, ci sentiamo di dire, non cambierà mai. Che, come ha tenuto a dire in italiano il brasiliano Pedro Harres nel ritirare il premio per il suo lavoro in realtà virtuale, «siamo tutti antifascisti». Perché la madre di tutte le battaglie, anche quelle più recenti, rimane sempre la stessa.
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.