L’Italia sottotraccia di Ugo. In sala l’ultimo Gregoretti, ironico (auto) ritratto tra cinema e televisione

In sala dal 18 giugno (per Luce Cinecittà), con proiezione-evento al cinema Quattro Fontane di Roma “Io, il tubo e le pizze” film postumo di Ugo Gregoretti, già presentato alla passata Festa di Roma. Un “viaggetto” nell’Italia che fu, attraverso un collage dei suoi storici programmi-reportage della Rai e summa della sua proverbiale poetica ironia. Il Gregoretti autore e giornalista a scandagliare l’Italia “sottotraccia” per un come eravamo divertito e divertente, in compagnania del figlio Pippo e la nuora Kelly, tra i viali di villa Borghese. Ricordando anche il produttore associato, Tino Franco, altro straordinario amico che non c’è più …

Con quei suoi maglioni appoggiati sulla spalla o con le maniche incrociate davanti, rossi, blu, celesti, che sembrano tirati via e invece sono il segno distintivo di cura ed eleganza. La stessa che negli anni ha riempito un guardaroba di completi cuciti dal sarto, cravatte, papillon, coppole, tutti rigorosamente da abbinare tra righe, tartan, pied de poule. Eleganza che magari, soprattutto in quegli anni di battaglie e contestazione, tra PCI e cinema militante, potevano apparire fuori luogo, così da cambiare “i sandaletti capresi con le scarpe da fuga”, per sfuggire alle cariche della polizia nel Sessantotto.

Era Ugo Gregoretti. Che già usare l’imperfetto è un dolore. Ora a distanza di cinque anni dalla sua scomparsa (5 luglio 2019) è con lo stesso spirito e l’ronia di sempre, e soltanto un po’ di luce in meno nei suoi occhi, che lo ritroviamo in sala (dal 18 giugno con Luce Cinecittà) con il suo film postumo: Io, il tubo e le pizze, sintesi estrema e scanzonata di una carriera che ha attraversato tanta televisione (il tubo catodico) e (meno) cinema (le pizze sono le scatole che contenevano la pellicola) di cui però fanno parte almeno due titoli capitali: Apollon, documentario manifesto sulla vittoriosa battaglia della tipografia romana nel ’69 e Omicron, gigantesco mix tra fantascienza e lotta operaia.

Qui, come in una sorta di Arcadia, siamo tra i verdi viali assolati di villa Borghese a Roma, frequentata anche per l’attrazione della Casa del cinema, che nel film però non vediamo per niente. Vediamo invece Ugo che, come la star, scende dal camion di produzione, per passare ad un mezzo più agevole ed ecologico: una rossa sedia a rotelle, sulla quale si accomoda dopo aver elencato “i suoi vuoti di memoria, la sciatalgia, la perdita della vista” e i suoi gloriosi 87 anni. Al suo fianco il figlio Pippo (Filippo Gregoretti, il minore) e la nuora Kelly, giovane amante dell’italiano aulico nata a Taiwan. È lo stile Gregoretti.

Così prende il via “la rivisitazione semantica del repertorio del maestro”, parole di Kelly. Un “viaggetto” attraverso l’Italia che fu del Gregoretti giornalista di Sottotraccia, Controfagotto o Questo è il mio paese (prodotto dalla Rai Educational di Renato Parascandolo), programmi Rai da antologia, in cui Ugo coi suoi maglioni appoggiati sulle spalle e il microfono in mano, ha scandagliato l’intero paese con poetica ironia.

Gare di campanari, truccatori di vacche, parrucchieri di madonne, muli di alpini messi all’asta. Ma anche fabbriche di preservativi, un giovane Rocco Siffredi, una fiera del porno, un miracolo paesano col volto di Cristo apparso su un portone e una scuola di croupier nella ex sezione del PCI di Sesto Fiorentino, per finanziare la Festa de L’Unità. Chiude il film I nuovi angeli, il suo esordio cinematografco (1962), folgorante indagine dell’universo giovanile italiano negli anni del boom, e preludio ai suoi tanti racconti televisivi.

Un come eravamo, insomma, che a raccontare vita ed opere di un innovatore e sperimentatore come Gregoretti, quasi non basta. Diversamente, infatti, l’idea di partenza era molto più ambiziosa. Un film tratto dalla sua autobiografia La storia sono io, irresistibile excusus tra pubblico e privato, dagli anni del fascismo al contemporaneo. Ugo ragazzino in visita dal medico col la madre assillante, Ugo che gioca coi soldatini come un generale, e ancora Ugo che discute con Fausta, moglie e compagna di viaggio di tutta una vita (e madre dei suoi cinque figli), su quale dovrà essere la chiesa per il suo funerale, sono i provini più professionali e divertenti a cui ho assistito (e partecipato tanto in veste di madre di Ugo che di Fausta) nei locali del Blu Studios di via Montello a Roma.

In quella sede, storico indirizzo dell’ANAC di cui Gregoretti è stato a lungo presidente, un altro straordinario amico che ci ha lasciati, Tino Franco, aveva piazzato il quartier generale per quel film. Un’impresa nata da infinita passione condivisa ma, che alla fine, ha dovuto cedere il passo alle difficoltà economice e soprattutto, alle difficoltà di salute di Ugo, sopraggiunte in seguito.

Nella locandina di Io, il tubo e le pizze, nei credits, è bello leggere per ricordare anche lui, il nome di Tino Franco produttore associato. Regia e soggetto sono dello stesso Ugo, l’aiuto regia è Giulio Calcinari, suo storico collaboratore. Produce Enzo Porcelli, mentre firma le musiche l’altro figlio, il musicista Lucio Gregoretti. È anche un po’ una storia di famiglia, infatti, Io, il tubo e le pizze. La grande famiglia Gregoretti che accoglierà il pubblico in sala alla prima-evento romana (il 18 giugno al cinema Quattro Fontane) e alla quale vanno il nostro affetto e i nostri saluti.