Pedro Almodovar splendente Leone d’oro. Le donne (e la letteratura) protagoniste del palmarès di Venezia 81

Con il magnifico “La stanza accanto”, storia di “una donna agonizzante, in un mondo agonizzante” finalmente Pedro Almodovar vince il suo primo Leone d’oro di Venezia 81. A sorpresa il Leone d’argento incorona “Vermiglio” di Maura Delpero, film in dialetto tra le nevi del Trentino confermando un palmarès che racconta storie di donne e premia le donne registe (c’ è anche la georgiana Dea Kulumbegashvili). Ma la vincitrice assoluta è la letteratura che ha ispirato la metà dei titoli incoronati, oltre ai  tanti altri del festival …

 

Il Leone d’oro (annunciato) a Pedro Almodovar per il suo magnifico La stanza accanto. E quello d’argento – Gran premio della giuria (a sorpresa) all’opera seconda di Maura Delpero, Vermiglio, a far cantar vittoria anche all’Italia, abituata a restare ai piani bassi del palmarès, se non addirittura a bocca asciutta, soprattutto in queste ultime edizioni dove il nostro cinema ha riempito in modo esagerato il concorso, senza averne le qualità.

“Grazie a Tilda Swinton e Julianne Moore che sono l’anima del film – dice dal palco Pedro -. Il film parla di una donna agonizzante, in un mondo agonizzante. I loro personaggi parlano delle qualità migliori delle persone, stare vicino a chi soffre.  Si parla di solidarietà e della possibilità di porre fine alla propria vita, un diritto dell’essere umano. E i governi non devono entrare in queste scelte perché ogni individuo ha il diritto di decidere come vivere e di morire, se la vita gli offre solo sofferenza”. È un Pedro Almodovar commosso quello che ringrazia  e che finalmente, a 74 anni, porta a casa il suo primo Leone d’oro, meritatissimo, per il suo primo film “americano” ma dal cuore profondamente iberico e, soprattutto, tratto dal romanzo della scrittrice newyorkese Sigrid Nunez.

Maura Delpero, la sorpresa di questo concorso col suo film girato in un Trentino degli anni quaranta, dove il patriarcato non lascia scampo, tra nebbie e neve e recitato in dialetto (in molti hanno scomodato Olmi), ringranzia invece il cinema pubblico, senza il cui sostegno non avrebbe potuto vedere la luce. E non è un dettaglio da niente ricordarlo in questi tempi di destra. “Dobbiamo essere più reattivi contro la pessima nuova legge sul cinema” esorta, infatti, Nanni Moretti premiato a sua volta per Ecce bombo, nella sezione Venezia classici per il miglor film restaurato.

È un palmarès che premia le storie di donne e le donne registe, fatalità, alle loro opere seconde, quello stilato dalla giuria capeggiata da una superba ed eccentrica, di bianco vestita, Isabelle Huppert. Come la georgiana Dea Kulumbegashvili, che col suo April,  incoronato col Premio speciale della giuria, ci porta – con ritmi esasperanti – tra le campagne fangose del suo paese dove le donne sono vittime e di violenze e dove l’aborto clandestino è ancora la normalità.

Di due registe abbiamo detto fin qui. Ma sul podio, volendo, ne figurano ben cinque, considerando la statunitense Halina Reijn inderettamente premiata dalla Coppa Volpi alla sua protagonista: la disinibita e amante del sadomaso Nicole Kidman nel suo Baby Girl. Così come la coppia francese delle sorelle Delphine e Muriel Coulin che sul podio hanno portato il loro protagonista: il sempre strepitoso Vincent Lindon,  Coppa Volpi per il suo ruolo di padre dolente di un figlio naziskin nel letterario Jouer avec le feu. Simile per tematiche ad un altro titolo letterario, Familia di Francesco Costabile che, nella sezione orizzonti, ha fatto vincere l’italia anche in questo caso per la miglior interpretazione maschile al giovanissimo Francesco Gheghi.

Tante le storie di donne, dicevamo, ben puntate sul nostro contemporaneo, le sue tensioni sociali e le derive del neoliberimo e dell’ascesa delle destre. Con la storia a fare da testimone. L’orrore dei lagher nazisti vissuto dall’architetto del Bauhaus celebrato dal britannico Brady Corbet nel suo molto lungo e molto amato dalla critica, The Brutalist, premio per la miglior regia, per esempio. Ma anche quella della dittatura militare in Brasile, rievocata da Walter Salles nel suo Io sono ancora qui dedicato a Eunice Paiva, moglie del desaparecido Rubens. Il premio va alla sceneggiatura di Murilo Hauser e Heitor Lorega che hanno adattato l’omonimo romanzo scritto dal figlio. Ancora un film letterario, ancora una storia al femminile.

Come le tante pronte ad esplorare – Almodovar ne è l’esempo più luminoso – anche le fragilità. Quella assoluta della vecchia e della perdita della memoria “indossata” da Kathleen Chalfant, magnifica attrice americana ottantenne protagonista di un’opera prima sorprendente: Familiar Touch di Sarah Friedland (e siamo a sei registe donne) che fa l’en plain nella sezione Orizzonti portandosi a casa il premio per la miglior attrice, quello per la regia e ancora il Leone del futuro.

Completa il palmarès di questo concorso 2024 che certamente non passerà alla storia, un vincitore sopra a tutti. La letteratura. Degli otto film premiati ben la metà sono tratti da opere letterarie. Anche Il premio Mastroianni all’interprete emergente, infatti, è andato al giovane Paul Kircher protagonista di Leurs enfants après eux dei gemelli francesi Ludovic e Zoran Boukherma, dall’omonimo fortunato romanzo di Nicolas Mathieu. E siamo a quattro. E se consideriamo Orizzonti anche a cinque. Ma tanti altri ancora ne abbiamo visti.