Con Citto Maselli a lezione di 900: “Lettera aperta”…

Primo di una serie di incontri col grande autore, per condividere i suoi film e la nostra storia. In tempi di memoria corta come i nostri vi proponiamo questo cammino a ritroso per guardare meglio al presente. A cominciare dal rivoluzionario “Lettera aperta a un giornale della sera” sul Sessantotto…

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Mettiamola così. Parlare con Citto Maselli del suo cinema significa ripercorre non solo la nostra storia ma anche quella dell’arte, della letteratura, della politica soprattutto, le tensioni sociali e culturali del Novecento. In tempi come i nostri di memoria corta vi proproniamo questo cammino a ritroso – che sarà a puntate – per guardare meglio al presente. Perché per dirla con un altro grande che se n’è appena andato, Umberto Eco, la memoria è l’anima. E un futuro senz’anima non ce lo auguriamo.

Cominciamo dunque da un anno storico, il Sessantotto che Citto Maselli ha raccontato in un suo film altrettanto storico: Lettera aperta a un giornale della sera, uscito nel 1970, ma che di quella stagione ha saputo tratteggiare tutta la complessità,  portando in primo piano – con grande coraggio e spirito critico, mai mancato nel suo cinema – le contraddizioni degli intellettuali comunisti, a fronte di un Pci sempre meno “rivoluzionario”.

Le commedie

“Era la fine degli anni Sessanta e l’idea del film – racconta Maselli – mi venne dopo aver fatto due commedie: Fai in fretta ad uccidermi… Ho freddo (1967) e Ruba al prossimo tuo (1969). Un genere devo dire in cui non mi sono mai trovato a mio agio. Dopo Gli sbandati (1955), La donna del giorno (1956), I delfini (1960) e Gli indifferenti (1964), tutti drammatici, si era creata una sorta di insofferenza verso i film d’autore, ci dicevamo che palle, ci vorrebbero delle commedie intelligenti, paradossali…”.

Chiacchiere, diciamo così, che Citto faceva in quel di Ravello, nella villa che prendeva in affitto ogni anno – “ero ricco allora” – in compagnia di due “pericolosi” comunisti: Karel Reisz, tra i padri del “Free cinema” inglese che di lì a poco, infatti, sfornò la commedia-manifesto Morgan matto da legare e sua moglie, Betsy Blair, attrice americana sfuggita al maccartismo e già interprete de I delfini.

“Così – continua Maselli – nonostante fossi polemico sull’andazzo qualunquista di certo cinema che imponeva l’ironia su tutto, mi decisi a fare anch’io delle commedie. Fai in fretta ad uccidermi, la scrissi con Andrea Barbato e ricordo che una sera ad una riunione di sceneggiatura arrivò pure Umberto Eco. E poi, la seconda, Ruba al prossimo tuo che girammo in una New York invernale, così fredda, da costringere gli attori a recitare col ghiaccio tra i denti per non far uscire loro il fumo di bocca… Risultato: ancora mi pento di averle fatte”.

Non ancora

Ed è proprio a New York che Maselli “strappa” la promessa a Franco Cristaldi, il suo produttore: “Adesso, però, mi fai fare un film politico come voglio io!”. Ma al rientro in Italia la promessa è “disattesa”. Inarrestabile Citto corre al Messaggero per un’intervista con Costanzo Costantini che offrirà un articolo incandescente, per quegli anni: “Cristaldi si è venduto agli americani”.

L’obiettivo è raggiunto. “Mi ricordo che Franco – prosegue Maselli – mi chiamò subito alla Vides e mi mandò dall’amministratore, Durazzi, per firmare una prima bozza di contratto, praticamente a scatola chiusa. A patto che il costo fosse entro i 90 milioni di lire, che trovassi una distribuzione e scrivessi due righe di soggetto”.

La distribuzione arrivò con l’Italnoleggio – l’Istituto Luce di oggi – e il soggetto Citto lo scrisse in una notte, col titolo Non ancora, trasformato in seguito in Lettera aperta a un giornale della sera. Ed eccolo come lo racconta lui stesso: “Una sera un gruppo di intellettuali comunisti mandano una lettera polemica a Paese Sera criticando il Pci per aver abbandonato le posizioni rivoluzionarie. E si offrono di andare in Vietnam a combattere al fianco dei viet cong. Il dramma avviene quando la lettera, che doveva essere una semplice provocazione, viene pubblicata e facendo grande scalpore costringe il gruppo a partire davvero. Almeno in un primo momento, sconvolgendo le loro vite di uomini arrivati e realizzati”.

L’architetto, il direttore editoriale, lo scrittore, lo sceneggiatore, il regista e il professore universitario, tutti con rispettive mogli e amanti che all’improvviso si ritrovano a rischiare il loro mondo di privilegiati, fatto di vernissage, nottate di chiacchiere, politica, sesso – siamo in piena “liberazione sessuale” -, auto di lusso e salotti, mentre gli studenti vengono torturati nelle caserme, come ci rimanda il film, attraverso un montaggio frenetico, dialoghi serrati, movimenti di macchina di dinamica eleganza sulle note di Giovanna Marini che, ancora oggi a distanza di quasi cinquant’anni, fanno di Lettera aperta un folgorante e avveniristico esempio di cinema d’autore.

Il Sessantotto era già scoppiato. “Ed essere del Pci – prosegue Maselli – significava essere riformisti e non rivoluzionari. Ed io che sono sempre stato con Ingrao, sconfitto nel partito nel ’66 con l’11esimo Congresso, ci stavo dentro ma ero molto critico”. Senza però abbandonare mai la politica attiva, la militanza culturale nella Commissione cinema del Pci al fianco di Mino Argentieri o le battaglie dell’Anac, la storica associazione degli autori che, proprio nel ’68, “occupò” la Mostra del cinema di Venezia, iniziando quella battaglia che portò alla riforma della Biennale.

E magari, ancora, pagando personalmente il prezzo del “rigore comunista” mettendo una croce sopra ai Caroselli, fonte di ottimi guadagni per tanti grandi nomi del cinema anche militante: Pontecorvo, Taviani, Comencini. “Eh già – ricorda ancora Citto – ci davano un sacco di soldi per quelle pubblicità. Io girai anche quella famosa della Peroni… sarò la tua birra. Poi, ed era il ’68, Lietta Tornabuoni scrisse un articolo in cui diceva più o meno: “Citto Maselli il comunista è al soldo del capitale”…. Così andai subito a comunicare al partito che interrompevo coi Caroselli. Alla fine tutti gli altri hanno continuato e solo io sono rimasto fuori”.

Altri tempi davvero. Che Maselli ha affrescato in quel grande ritratto d’epoca – anche da un punto di vista estetico – che è Lettera aperta. “Nel film – aggiunge – ho messo tutte le anime politiche e le contraddizioni dei tempi”, ricavandosi anche un ruolo d’attore per sè, il “militante alla Saverio Tutino”, con un splendido cappotto di cinghiale.

Alla sua uscita il film suscitò un dibattito epocale, tanto che l’Italnoleggio pubblicò addirittura un libro con tutte le recensioni, le “lettere aperte” e gli interventi che uscirono. “Maurizio Ferrara su l’Unità – conclude il regista – mi attaccò sostenendo, in sentesi, che il film fosse inutilmente polemico contro il Pci e che io mi atteggiassi come un bambino a cui sfugge la palla. E Pajetta, allora direttore, mi fece pubblicare una replica in terza pagina “data la tua storia”, così mi disse. Ci misi una settimana per scrivere la risposta, tanta era la responsabilità che mi sentivo addosso!”. Insomma, altri tempi davvero.

Il prossimo “appuntamento” è con Il sospetto